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Un detenuto muore il 5 gennaio per crisi respiratoria a causa di un grave tumore ai polmoni in stato avanzato. Non è uno qualsiasi, ma parliamo dell’ex mafioso Stefano Ganci mentre era ricoverato all’ospedale di Parma. «La notizia è trapelata ieri, ma il decesso è avvenuto – ha spiegato il suo avvocato difensore Girolamo D’Azzò a Il Dubbio - il 5 gennaio scorso». Parliamo di un uomo, 55 anni, recluso fin dal 1994 e condannato all’ergastolo per aver partecipato a diversi omicidi, fra cui quello del consigliere istruttore Rocco Chinnici nel 1983. Era stato anche condannato, a 26 anni, per aver fatto il palo al commando autore della strage di via D’Amelio del 1992, dove morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta.
Stefano Ganci stava scontando l’ergastolo nel carcere sardo di Oristano, ma non in regime di 41 bis, perché declassificato da tempo. La scorsa estate, durante la sua detenzione, subì un intervento all’addome per i diverticoli. «Dopodiché – spiega sempre l’avvocato D’Azzò - viene trasferito a fine ottobre al carcere di Parma nella sezione di alta sorveglianza per degli accertamenti clinici, perché avrebbe avuto un problema respiratorio e un problema allo stomaco che necessitava di controlli. A metà dicembre, durante l’immatricolazione, cade accidentalmente, si rompe una vertebra e viene trasferito urgentemente all’ospedale di Parma». Arriviamo al 20 dicembre, l’avvocato D’Azzò va a trovare il detenu- to, perché i medici vogliono parlagli. Apprende, solo in quel momento, che a Ganci è stato diagnosticato un tumore polmonare in stato avanzato, con tanto di metastasi. Per i medici al Ganci restatno pochi mesi di vita. Dopo qualche giorno, nel pomeriggio del 5 di gennaio, ha avuto una crisi respiratoria ed è morto. Sarà l’autopsia disposta dalla procura ad accertare le cause della morte. L’avvocato ha richiesto i referti medici, compresi quelli di Oristano, per capire come sia possibile che non gli abbiano diagnosticato il tumore quando venne operato in Sardegna. Con questa ennesima morte, si apre nuovamente il problema del diritto alla salute dei detenuti. In particolare, è proprio il carcere di Parma ad essere al centro dell’attenzione. Diversi detenuti sono malati, compresi alcuni anziani rinchiusi al 41 bis. Se prendiamo ad esempio la sezione speciale del 41 bis, più che a un carcere assomiglia sempre di più a un ospizio per anziani con problemi di salute e acciacchi dovuti dall’età. L’età media continua ad alzarsi. Lo aveva confermato a Il Dubbio il garante locale dei detenuti Roberto Cavalieri. Spiegò che alla sezione del 41 bis vi sono reclusi 65 detenuti, con l’età media che raggiunge quasi i 65 anni. A questo va aggiunto, appunto, il discorso sanitario. Sì, perché al carcere duro, oltre ai novantenni, ci sono anche diversi ultra 80enni che necessitano di cure. Tra loro c’è anche Raffaele Cutolo che oramai ha superato i 75 anni e soffre di varie patologie legate all’età. Appena si liberano i pochi posti della sezione terapeutica alla quale l’amministrazione penitenziaria assegna i detenuti per il trattamento di patologie in fase acuta o cronica in fase di scompenso, subito vengono rimpiazzati da coloro che stanno male. Il reparto – allestito per un massimo di 30 posti – è diventato un punto di riferimento anche per gli altri penitenziari. Così il sovraffollamento aumenta e aumentano anche le persone malate. Poi accade che, a causa delle loro gravi patologie, i detenuti si sentono male e vengono ricoverati d’urgenza in ospedale. Ma non solo. Per quanto riguarda i malati al 41 bis, nell’ospedale parmense c’è il “repartino” adibito per i detenuti che necessitano di cure urgenti. Non a caso viene definito con un diminutivo: è composto solo da tre stanze e appena ne muore uno ( come il caso di Totò Riina) o viene rispedito in carcere, subito il posto viene rimpiazzato. Un ping pong tra il carcere e l’ospedale. L’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini vuole vederci chiaro e ha deciso di visitare il carcere di Parma il 18 gennaio. In particolare proprio la sezione riservata al 41 bis.