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È davvero paradossale che il presidente del Collegio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D’Ettore, non abbia potuto ricevere l’ultimo saluto da suo fratello Pasquale, detenuto a Catanzaro. Solo ieri è emersa questa assurda storia, confermata dall’avvocato Eugenio Minniti.
D’Ettore è scomparso prematuramente a 64 anni per un aneurisma aortico il 22 agosto a Locri, dove si era recato in visita all’anziana madre. La sera del 23 agosto, l’avvocato di Pasquale D’Ettore ha presentato un’istanza per permettergli di visitare la madre, sconvolta dal dolore, e per vedere la salma del fratello in ospedale.
Rispetto a quanto riportato da alcuni organi di stampa, la richiesta non includeva la partecipazione ai funerali, che si sono svolti il 26 agosto, alla presenza del ministro Nordio, dei sottosegretari Ferro e Andrea Delmastro, del responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Donzelli, nonché di assessori regionali e sindaci della zona.
«Nell’interesse di Pasquale D’Ettore – si legge nell’istanza, che il Dubbio ha avuto modo di visionare – detenuto presso la Casa circondariale di Catanzaro, con fine pena il prossimo 5 ottobre 2024 (previa concessione dell’ultimo periodo di liberazione anticipata), si chiede che venga autorizzato, anche con scorta, a recarsi a Locri (RC) per dare necessario e familiare conforto alla propria madre, in precarie condizioni di salute e assolutamente affranta per la perdita del proprio figlio». Inoltre, si chiedeva «di essere parimenti autorizzato, nella medesima occasione, a rendere omaggio alla salma del proprio fratello, esposta presso la sala mortuaria dell’ospedale civile di Locri, in attesa delle esequie funebri. Si confida nell’accoglimento delle istanze, trattandosi di atto conforme al senso di umanità e giustizia, in assenza di particolari ragioni ostative alla concessione delle autorizzazioni richieste».
Tuttavia, il magistrato di sorveglianza non ha mai risposto e Pasquale non ha potuto dare l’ultimo saluto al fratello. «Siamo in presenza – dichiara l’avvocato Minniti – di una condotta assolutamente negligente da parte del tribunale di sorveglianza, trattandosi della richiesta di un permesso di necessità per il decesso di uno stretto familiare avanzata da un detenuto comune».
Pasquale D’Ettore sta scontando una pena per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, a seguito di un’inchiesta della procura antimafia di Reggio Calabria. «Il mio assistito è stato arrestato illegittimamente lo scorso 23 dicembre per un reato commesso nel 2003, che allora non rientrava nel catalogo del 4 bis, e quindi non era reato ostativo, essendolo diventato dopo il 2015. Tant’è che il residuo di pena da espiare andava sospeso. Difatti, il 24 dicembre siamo stati tutto il giorno nel mio studio per predisporre un’istanza di scarcerazione, rigettata dalla procura generale di Reggio Calabria ma accolta dalla Corte d'Appello in aprile, che ha rilevato che il reato per cui era stato arrestato non fosse ostativo. È stato condannato a cinque anni di carcere. Ma avendo già scontato circa quattro anni in misura cautelare per altre accuse poi rivelatesi infondate, uscirà ad ottobre».
Qualche giorno prima della sua morte, Minniti aveva cenato con il Garante D’Ettore, di cui era amico e consulente: «Quella sera stavamo discutendo della sua intenzione di predisporre un progetto di legge per la concessione dell’indulto triennale, che avrebbe in parte risolto la drammaticità che stanno vivendo le nostre carceri. Questo dimostra la sua grande sensibilità per la questione, in quanto riteneva che lo stato di estrema criticità carceraria potesse risolversi esclusivamente con un concreto provvedimento clemenziale».
Invece, conclude l’avvocato, «in questo momento di grande emergenza appare assolutamente paradossale che non solo non venga concesso il permesso di necessità per motivi familiari a un detenuto comune incensurato prima di questa condanna, ma addirittura venga mantenuto in carcere un soggetto recluso per un reato comune a un mese dalla scarcerazione. Abbiamo presentato un’istanza di detenzione domiciliare a giugno e siamo ancora in attesa della fissazione dell’udienza. Purtroppo ci sono gravi disfunzioni nei tribunali di sorveglianza e una politica inadeguata a risolvere in modo strutturato e costruttivo i problemi del sistema e dell’esecuzione penale».
Non è la prima volta che accade una cosa del genere. A giugno 2022, un giovane detenuto nel carcere di Cosenza, e che dopo sei mesi avrebbe terminato di scontare la pena, non ricevette alcuna risposta da parte del giudice di sorveglianza alla sua richiesta di permesso per partecipare al funerale della madre. Inoltre, allo stesso giovane era stata negata in precedenza la possibilità di fare visita alla donna, affetta da un tumore. A febbraio dello stesso anno, un recluso nel carcere romano di Rebibbia chiese di poter partecipare ai funerali della nonna, l’unico affetto che gli era rimasto, ovviamente scortato come prevede la legge, ma la magistrata di sorveglianza gli negò l’autorizzazione poiché «il ricordo della nonna – scrisse – può essere coltivato con la preghiera e il raccoglimento intimo».
Nel 2012, un tredicenne morì dopo essere stato investito da un’auto pirata. Al funerale fu negata la presenza al padre e al fratello della vittima, per motivi di ordine pubblico. Nel 2019, a un 40enne siciliano che scontava ai domiciliari una pena a due anni per 70 grammi di marijuana, fu impedito di partecipare al funerale della compagna. Poté solo sfiorare la foto della sua donna sulla lapide, perché l’autorizzazione dell’ufficio del Tribunale di Sorveglianza arrivò solo dopo il funerale. Nel 2015, un uomo detenuto in attesa di giudizio nella sezione di Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso aveva chiesto un permesso di necessità con scorta per visitare il padre gravemente malato, ma per la Corte d'Appello di Napoli non sussisteva il requisito dell’imminente pericolo di vita. Qualche giorno dopo, però, l’uomo morì. Inoltre, l’uomo non aveva potuto presenziare alle esequie o vedere la salma prima della cremazione, poiché un’altra richiesta alla Corte d'Appello era rimasta senza risposta.