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Anche le carceri molisane, e non solo, sono state sotto la lente di ingrandimento del Garante nazionale delle persone private della libertà. La visita a Campobasso, Isernia e Larino dal 23 al 27 luglio 2018, è stata effettuata dalla delegazione composta da Mauro Palma e Daniela de Robert, rispettivamente presidente e componente del Collegio del Garante, e da Fabrizio Leonardi, Gilda Losito ( per i primi due giorni), Antonio Martucci e Claudia Sisti, dell’Ufficio del Garante. La delegazione si è avvalsa della consulenza di Daniele Piccione, in qualità di esperto.
In particolare l’autorità del Garante ha ravvisato criticità sulla tutela della salute. «Come è noto – si legge nella relazione-, la Regione Molise ha nominato un Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario molisano. Tale situazione, che si protrae da diversi anni, comporta una inevitabile ricaduta anche sul sistema sanitario negli Istituti di pena, con tagli sulle risorse umane e materiali».
In particolare, è emersa una scarsa presenza dei medici specialisti negli Istituti, con lunghi tempi di attesa per le analisi e le visite e un numero elevato di visite non programmate in ospedale con accompagnamento da parte della scorta. «Tutto ciò – relaziona il Garante - crea un corto circuito tra esigenze di tutela della salute e esigenze di sicurezza che richiedono una soluzione condivisa».
Tra le varie criticità, una che salta inevitabilmente all’occhio, è quella che riguarda il reparto di “medicina protetta” dell’ospedale “Antonio Cardarelli” di Campobasso. Le camere presentano finestre ad ante fisse che non possono essere aperte per il necessario ricambio di aria. Tale circostanza è aggravata dall’assenza di aria climatizzata e dall’esposizione al sole della camera per la maggior parte della giornata. «Tale situazione – osserva il Garante -, nel rispetto delle esigenze di sicurezza e prevenzione di possibili atti autolesivi o suicidari, appare in contrasto non solo con le regole penitenziarie europee del Consiglio d’Europa, ma anche con regole di vivibilità nel caso di prolungate degenze».
Il piccolo reparto risulta non munito di alcun locale diverso dalla stanza di degenza, ove avvengono anche i colloqui con i familiari, né di alcuno spazio esterno ove trascorrere, quando le condizioni di salute lo consentono, almeno un’ora al giorno – ciò anche in considerazione dell’impossibilità di aprire le finestre. Inoltre, non vi è un televisore e neppure un telefono per comunicare con familiari o avvocati. In sintesi, le persone detenute non godono di fatto dei diritti riconosciuti negli Istituti dall’ordinamento penitenziario. «Alla condizione di detenzione e di malattia – si legge sempre nella relazione-, si aggiunge di fatto una condizione di solitudine oggettiva e di impotenza aggravata dall’assenza di diritti».
La delegazione del Garante, sempre nel reparto, ha incontrato una persona proveniente dall’Istituto di Larino, S. I., che era ricoverata da ben 62 giorni, ininterrotti. Si tratta di un detenuto in regime di alta sicurezza ( AS3), sottoposta a cicli di radio terapia a seguito di neoplasia alla gola, con evidenti e gravi difficoltà di comunicazione a causa della patologia, ricoverato in quel Reparto dal 21 maggio e sottoposta a divieto di incontro ( con la persona eventualmente ricoverata e detenuta nell’altra stanza).
Ciò vuol dire che la persona, per mesi, è stata ininterrottamente ricoverata in un ambiente chiuso, senza ricambio d’aria, senza televisore, esposto tutto il giorno al sole e senza condizionatori d’aria. Aspetti che sono stati valutati dal Garante «offensive della dignità della persona ricoverata e, come tali, possibilmente sintetizzabili in quel concetto di “trattamento inumano o degradante” vietato inderogabilmente dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».