PHOTO
Cresce in Europa il numero di persone che scontano pene alternative rispetto alla detenzione, come l’arresto domiciliare, l’affidamento ai servizi sociali, la semilibertà o libertà condizionata. Ma il nostro Paese si pone al 25° posto sui 33 Paesi monitorati.
Secondo il sondaggio Space II che il Consiglio d’Europa ha pubblicato recentemente, al 31 gennaio 2018 c’erano in Europa 1.810.357 persone in situazione di pena alternativa (una media di 169 persone su 100mila abitanti). A fronte di ciò è calato il numero di detenuti in Europa (102,5 su 100mila abitanti). Complessivamente aumenta il ricorso alle misure alternative: 1.810.357 quelli che ne beneficiavano al 31 gennaio 2018 mentre erano 1.540.578 secondo il rapporto del 2016.
Quanto all'Italia, il ricorso a queste misure in rapporto alla popolazione carceraria ci pone al 25° posto sui 33 Paesi monitorati. Il primo per concessione di misure alternative al carcere? L'Olanda, poi l'Inghilterra e la Romania. Quella delle pene alternative è stata una battaglia che il Consiglio d’Europa ha portato avanti in questi anni, come percorso che può “contribuire efficacemente all’integrazione degli autori di reati nella società, migliorare il funzionamento delle carceri e prevenire il sovraffollamento”.
Lo studio è stato presentato alla Conferenza dei direttori di istituti di pena e responsabili dei servizi sociali che si è concluso mercoledì scorso. In realtà, la raccomandazione del Comitato dei ministri agli Stati membri sulle norme europee in materia di sanzioni e misure comunitarie era stata adottata più volte, l’ultima nel 2017. Anche l’Italia, tramite l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, aveva promesso di implementare le misure alternative tramite la riforma che era in itinere. Ciò aveva fatto scampare l’Italia dalle sanzioni.
Ma andiamo con ordine. Nel 2016, la Corte europea per i diritti umani (Cedu) aveva comunicato che è stata archiviata in maniera definitiva la vicenda Torreggiani in materia di sovraffollamento delle carceri italiane. È stato apprezzato il lavoro che era stato fatto attraverso le leggi passate come le tanto criticate “svuotacarceri, ma soprattutto per la riforma dell’ordinamento penitenziario che era in itinere e conteneva un capitolo dedicato alle misure alternative.
La vicenda era cominciata nel 2013 quando la stessa Cedu aveva condannato l’Italia, con la suddetta sentenza Torreggiani, a risarcire un detenuto che aveva passato periodi di reclusione in celle al di sotto dei 3 mq di spazio per persona (violazione dell’art. 3 della Convenzione europea: trattamenti inumani e degradanti). D’improvviso l’Italia scoprì di avere un grosso problema, il sovraffollamento carcerario. La Cedu concesse un anno di tempo per risolverlo. Allora la popolazione ristretta ammontava a 66.685 persone e la capienza regolamentare a 45.000 posti. Il tasso di sovraffollamento toccava quota 142,5%. A maggio 2014 il numero dei detenuti era sceso a 58.871 e i posti letto saliti a 49.797 (Fonte Dap).
L’Italia aveva quindi scampato le sanzioni. Il 9 marzo 2016 il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, organo incaricato di verificare gli adempimenti delle sentenze Cedu, dopo aver monitorato l’effetto delle riforme ha archiviato la sentenza Torreggiani. Rispetto ai 54.252 detenuti registrati il 1° settembre 2014, al 28 febbraio 2016 si contano 49.504 posti, ossia 110 detenuti per 100 posti disponibili ( nel 2013 il rapporto era 148 a 100).
La ricerca Space I dell’Università di Losanna aveva sintetizzato il cambiamento nel passaggio da 3 a 9 mq di superficie in cella destinata a ciascun detenuto.
Per arrivare a questi numeri si sono incrementate proposte alternative alla carcerizzazione, come la custodia cautelare, la messa in prova, l’affidamento e le misure alternative più in generale, senza dimenticare i tentativi di revisione culturale della funzione del carcere ( rieducativa e non punitiva) verso l’opinione pubblica e il ripensamento della vita quotidiana in carcere con il lavoro e l’accesso ad attività educative con gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, iniziati a maggio 2015 e durati sei mesi che erano serviti per preparare il terreno alla riforma dell’ordinamento penitenziario.
La riforma, poi, è stata approvata dal governo attuale, ma togliendo di mezzo il decreto attuativo riguardante l’implementazione delle pene alternative. Ora il sovraffollamento è in aumento: diminuiscono le entrate per via della riduzione dei reati, ma nel contempo però diminuiscono anche le uscite.