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Fa bene Mauro Palma a rivolgersi alla politica indicando le misure più urgenti che è necessario mettere in cantiere per affrontare la situazione, per molti versi drammatica, in cui versano le carceri italiane. L’apertura al territorio e una sensibilità nuova da parte degli enti locali alla realtà degli istituti di pena, un maggiore impegno per fare della pena una occasione di crescita e di formazione per i detenuti e la necessità di investire di più sulla sanità e la salute per garantire risposte necessarie soprattutto di fronte al disagio, anche mentale, che si vive nelle carceri. Tutto ciò è necessario per ragioni di semplice umanità ma soprattutto per garantire il rispetto del dettato costituzionale. Il Garante nazionale lancia il suo appello denunciando la mancanza, in campagna elettorale, di un dibattito su questi temi. È vero, il carcere è un tema delicato che poco si presta alle semplificazioni e che non contribuisce a creare consenso, ma credo sia sbagliato in queste settimane ignorare il tema perché penso che questo voto, e il risultato elettorale, peserà molto sul futuro delle carceri e sugli orizzonti dell’amministrazione penitenziaria. Si sa benissimo che ci sono due visioni contrapposte: l’idea del carcere come luogo di punizione, l’unico luogo dove espiare le pene, luogo deputato a privare della libertà e contenere chi delinque e l’idea, che in questi ultimi anni, grazie anche al lavoro del ministro Orlando e al contributo della ministra Cartabia, ha iniziato ad affermarsi, del carcere come estrema ratio a cui preferire misure alternative, sede di formazione e di lavoro capace di restituire speranza, di aprirsi all’esterno, operando davvero per il reinserimento e la riduzione della recidività. La senatrice Bongiorno, tanto garantista con i colletti bianchi, propone il carcere come unico luogo di espiazione della pena e, così, immagina un sistema che porterà ad un aumento esponenziale dei reclusi. Salvini ritorna a indicare nel “carcere e buttare via le chiavi” la ricetta per affrontare tutti i problemi di sicurezza. Insomma io penso che se anche, sbagliando, in campagna elettorale non si parla di carceri, non si possono non conoscere e vedere gli effetti che il voto può avere e gli scenari che possono profilarsi, con il rischio che le innovazioni positive di questi anni, che si sono realizzate anche grazie al lavoro di Mauro Palma, vadano cancellate. Accogliere o non accogliere le proposte del Garante, chiudere o non chiudere l’esperienza della vigilanza dinamica, rendere permanenti o no le misure introdotte durante il covid sui permessi di lavoro e sulla comunicazione con l’esterno, proseguire o meno sulla strada della formazione di tutti gli operatori, ampliare, certo in sicurezza, o no le pene che si possono espiare fuori dal carcere, proseguire o no sulla strada delle convenzioni per portare lavoro e formazione negli istituti. Queste sono le alternative e su questo si gioca il futuro delle carceri italiane. Penso che sia sempre giusto denunciare la disattenzione della politica, ma oggi, a tre settimane dal voto è doveroso e necessario esplicitare le possibili o probabili conseguenze di una scelta. Noi vogliamo proseguire sulla strada indicata dalla Costituzione: il carcere come estrema ratio e luogo di reinserimento e di speranza. Sì è vero, si parla poco di carcere in campagna elettorale, ma il 25 si vota anche per questo. Franco Mirabelli senatore, capogruppo Pd in commissione Antimafia