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Da tre anni è detenuto, in attesa di giudizio definitivo, in condizioni gravi di salute. Per i giudici però è compatibile con la detenzione. Eppure Giuseppe Sposato – attualmente recluso nel carcere di Prato – ha tre by-pass aortocoronarici, e con la coronaria destra in stenosi, è un soggetto diabetico in trattamento insulinico con una possibile e grave patologia neoplastica al colon. Un tumore che non si è riuscito a diagnosticare per la scarsa visibilità del campo oggetto d’indagine. In altri termini, la sonda non ha potuto avanzare nel suo percorso per esplorare completamente il colon per la presenza di qualche ostacolo, probabilmente dovuto alla presenza di qualche massa non meglio definita. A tutto ciò, si aggiunge anche una relazione sanitaria del 22 luglio scorso che fa capire la gravità della situazione quando si afferma che «(..)Si tratta di paziente cardiopatico quindi con un rischio maggiore... », senza considerare quanto, invece – come scrivono gli avvocati Antonio Romeo del Foro di Palmi e Luca Cianferoni del Foro di Roma nella richiesta di appello cautelare contro il rigetto emesso dalla corte d’appello di Reggio Calabria - , «risulta più chiaramente dalle consulenze della difesa, dalle quali non solo emerge il fondato sospetto che lo Sposato possa già essere ammalato di tumore al colon, ma anche sotto il profilo cardiaco, vengono evidenziate, dal professor Carlino, diverse allarmanti criticità che possono mettere l’appellante in serio pericolo di vita. Una tra le tante, la non eseguita rivascolarizzazione chirurgica della coronaria di destra, che sviluppa frequenti episodi di precordialgia». Ma chi è Sposato? Un imprenditore nel settore edilizio di un centro della piana di Gioia Tauro, Taurianova. Una indagine della Dda di Reggio Calabria del 2017 lo ha tratto in arresto con l’accusa di essere uno dei capi di una organizzazione mafiosa. Una vicenda processuale complicata, anche perché una sentenza parallela, che riguarda un altro imputato (che secondo l’accusa faceva parte della medesima associazione mafiosa ) non appellata dalla Procura di Reggio Calabria, quindi definitiva, ha, però, stabilito che quella organizzazione mafiosa non c’è. Un giudice lo ha condannato in primo grado a 14 anni di reclusione, decidendo sul fascicolo della Procura col rito abbreviato. La sentenza è stata appellata e lui rimane, quindi, con la presunzione di innocenza. Ma al di là dell’innocenza o colpevolezza, qui entra in campo il diritto alla salute. Sposato giace ora, gravemente malato, in carcere da quel giorno che è stato tratto in arresto. Come detto, soffre di gravi patologie e con un sospetto tumorale che però non è stato accertato perché non hanno potuto completare l’indagine con la sonda. L’allarme è alto ed i difensori propongono diverse istanze ai giudici per mandare a casa, a curarsi, il loro assistito. Ma puntualmente le istanze vengono tutte rigettate sul presupposto (offerto dalla direzione sanitaria del carcere dove il detenuto è imprigionato) che ogni cura viene garantita intra moenia e che il quadro clinico è assolutamente compatibile col regime carcerario. Da ultimo, in data 22 luglio 2020, dopo le tante insistenze dei difensori, viene ripetuta una TC addome completo ed il referto, questa volta, non lascerebbe spazio a dubbi. Il medico esaminatore testualmente scrive «...sembra apprezzarsi nel tratto medio- distale del viscere, in fossa iliaca a sinistra, un restringimento concentrico del lume per un’estensione di 2-3 cm in rapporto ad irregolare ispessimento delle pareti: reperto di possibile natura neoplastica, non potendone escludere la natura funzione in rapporto alla scarsa distensione del viscere, e comunque meritevole di approfondimento diagnostico». Davanti ad un quadro così allarmante, la Relazione sanitaria del carcere di Prato mandata alla Corte di Appello di Reggio Calabria esclude le patologie neoplastiche e quest’ultima recepisce tale informazione per rigettare l’ennesima istanza. Veronica, la figlia di Sposato, è preoccupata. Denuncia a Il Dubbio che suo padre dimagrisce progressivamente giorno dopo giorno e le ossa hanno preso il sopravvento sulla pelle. Un quadro allarmante, per questo i legali Romeo e Cianferoni hanno chiesto di anticipare l’udienza camerale per discutere della loro richiesta. Ovvero riformare l’ordinanza di rigetto che c’è stata il 28 agosto scorso e chiedere la sostituzione della misura cautelare con quella degli arresti domiciliari o ospedalieri presso un centro multispecialistico di alto livello. La preoccupazione dei familiari è che si potrebbero prospettare due soluzioni: lasciarlo morire in carcere o mandarlo a casa o in un centro specializzato per curarsi se avrà il tempo per farlo. Ora si è in attesa della fissazione dell’udienza. Ai giudici spetta l’ultima parola.