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«Una delle maggiori difficoltà che viviamo sono le lungaggini del processo penale. Chiederemo norme che accelerino i tempi di celebrazione, perché possiamo anche ragionare sull’allungamento dei termini di prescrizione fin quando vogliamo, ma il solo allungamento di questi non aiuta a ridurre i tempi», ha dichiarato il neo presidente dell’Anm Francesco Minisci intervenendo l’altro giorno ad un convegno a Roma. Il codice di procedura penale sul modello accusatorio, entrato in vigore nel 1989, ha mostrato in questi quasi trenta anni tutti i suoi limiti impattando sulla realtà italiana. Modificato più volte, con numerosi interventi legislativi e della Corte Costituzionale che hanno inciso profondamente sul testo di origine, il codice Vassalli non ha di fatto mai dato i risultati sperati. Il principio cardine, nelle intenzioni di chi voleva il superamento del rito inquisitorio, doveva essere quello della parità fra accusa e difesa. Per realizzarlo si introduceva il requisito dell’oralità della prova che doveva formarsi nel pubblico dibattimento avanti ad un giudice terzo.
Al fine di snellire il numero dei processi, venivano introdotti riti alternativi di ispirazione anglosassone che, a fronte dell’ammissione di colpevolezza, prevedevano significativi sconti di pena. Il processo doveva essere dunque l’extrema ratio e a tale fine il filtro dell’udienza preliminare rivestiva un ruolo chiave.
Il pm, poi, magistrato “a tutto tondo”, era chiamato a raccogliere nella fase delle indagini anche gli elementi a favore dell’indagato, sottostando ad una ferrea cadenza della durata delle indagini preliminari dove l’iscrizione nel registro degli indagati doveva seguire immediatamente l’emergere di elementi indizianti e dove la proroga delle indagini aveva carattere di eccezionalità.
Come è andata fine, invece, è noto a tutti gli operatori del diritto: indagini preliminari eterne con ritardate iscrizione nel registro degli indagati, gip “copia e incolla” delle richieste del pm, percentuali irrisorie di sentenze di non luogo a procedere rispetto ai decreti che dispongono il giudizio da parte del gup, lettura pressoché integrale dei verbali della polizia giudiziaria in dibattimento attraverso le contestazioni.
Per far fronte al collasso del sistema, il correttivo maggiormente invocato in questi anni è quello di incidere proprio sui tempi di prescrizione dei reati.
Per alcune forze politiche, come ad esempio il M5s, o per parte della magistratura, la panacea di tutti i mali resta infatti l’allungamento dei tempi della prescrizione che già oggi, dopo le ultime riforme volute dal Governo Renzi, per alcuni reati contro la PA arrivano a circa venti anni. Ma, evidentemente, quasi un quarto di secolo per celebrare il processo non è ancora un tempo sufficiente.
«Dobbiamo introdurre una serie di norme ad ampio respiro, a 360 gradi, per ridurre i tempi processuali», ha aggiunto Minisci, secondo cui «la riforma deve migliore il sistema. Aspettiamo di sapere chi sarà il nostro interlocutore di governo con un atteggiamento dialogante per fare le nostre proposte, sia sul penale che sul civile».
Nell’auspicato percorso riformatore, però, un ruolo da protagonista dovrà averlo necessariamente anche l’avvocatura. Proprio per rivendicare sul campo l’effettiva parità fra le parti.