«È nell’aria. Ne parla Gratteri ma non è una tentazione circoscritta alla Procura di Catanzaro: c’è insofferenza verso gli avvocati. Ce ne si vorrebbe sbarazzare, come se si trattasse di un orpello, di un ostacolo al processo». Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione Camere penali, non vede solo una nuova «incursione indebita, improvvida e offensiva», nell’uscita con cui il procuratore Nicola Gratteri, due giorni fa, ha parlato di “borghesia mafiosa costituita da avvocati e commercialisti senza i quali la ’ ndrangheta non riciclerebbe tanto denaro”. Secondo il leader dei penalisti, considerazioni gravi come quelle del capo dei pm di Catanzaro sono riconducibili a un clima che si è fatto in generale «pesante».

«Un clima ostile agli avvocati e pericoloso per la tenuta delle garanzie», secondo il presidente dell’Ucpi.

Gratteri non è solo e a fargli compagnia non c’è solo Davigo.

Gratteri non è solo così come va segnalato che il procuratore di Catanzaro commette di nuovo un errore per il quale aveva ritenuto di doversi scusare. L’altra volta disse che non intendeva colpire la generalità degli avvocati: ci aspettiamo che dica lo stesso anche adesso. Il tono è offensivo, ma dietro c’è qualcosa di diverso dalla eco di fatti specifici che si possono anche essere verificati.

A cosa si riferisce?

Al retropensiero che il difensore sia sovrapponibile al suo assistito, che non difenda la persona ma il reato. In Gratteri ma in generale nell’opinione pubblica avanza una identificazione, indebita, tra chi è accusato di reati e chi semplicemente assicura il diritto costituzionale alla difesa in giudizio. Se non ci fosse un elemento simile sullo sfondo della sua incursione, Gratteri si sarebbe limitato a dire che sì, in alcuni rarissimi e specifici casi l’avvocato o il commercialista concorrono nel compimento di reati. Perché non si è espresso così? Perché c’è quell’idea di cui le ho detto: se l’avvocato difende un criminale, per questo fatto stesso ne è ritenuto complice.

Nasce da qui l’insofferenza generale alle garanzie?

Di certo frasi come quelle di Gratteri favoriscono il perpetuarsi un circuito vizioso, per cui l’opinione pubblica sviluppa diffidenza nei confronti degli avvocati. Poi magari, quando un difensore si trova ad assistere l’autore di determinati reati, si arriva inviargli pallottole, a minacciarlo in ogni modo, sui social e non solo.

Anche l’Anm comincia ad assecondare quest’insofferenza?

Voglio essere chiaro: negli ultimi tempi l’Anm mi pare che abbia assunto un atteggiamento ambiguo. Usciamo da un periodo in cui ci eravamo trovati d’accordo su diverse questioni: dagli appelli in favore del nuovo ordinamento penitenziario alla posizione prudente sulla legittima difesa. Adesso mi pare che su diverse cose l’Associazione magistrati preferisca un profilo che definirei sornione, con l’idea di non disturbare troppo il governo su certi temi, penso anche al caso Bari, in modo da ottenere interventi sui quali il precedente esecutivo aveva detto no. Mi riferisco, è evidente, alla prescrizione sospesa dopo il primo grado e a ipotesi assurde come la reformatio in peius.

L’Anm pensa che certe controriforme arriveranno, per così dire, “ora o mai più”?

Mi pare si pensi questo e che ci si sia opportunisticamente messi a tacere su temi meno potabili per la nuova maggioranza. Vuole un altro esempio?

Prego.

Con il precedente leader dell’Anm, Eugenio Albamonte, eravamo arrivati a convergere sulla necessità di limitare il cosiddetto processo a distanza ai soli detenuti per reati di mafia e terrorismo. Mi pare che ora l’Associazione magistrati non sia neppure lontanamente disponibile a ragionare di questo, ma solo di prescrizione bloccata.

Pallino dell’ala dura dei pm.

Parliamo del rischio che una persona muoia da condannato in primo grado. Dopo anni e anni, in che condizioni un cittadino distrutto da una sentenza ingiusta può mai pensare di difendersi e ribaltare in appello quel giudizio? Come si fa a resistere dopo che magari ti hanno sequestrato tutto e fatto perdere il lavoro? A questo si aggiunge l’assurdo dell’abolizione del divieto di reformatio in peius.

Il presidente Anm Minisci l’ha proposta al guardasigilli.

Significa che lo Stato minaccia ti punirti se osi fare appello. E non ci si trattiene dall’ammettere appunto che una norma simile avrebbe la ratio di scoraggiare le impugnazioni. Vuol dire che un innocente, in base a tale discorso, dovrebbe essere scientificamente indotto ad accettare una condanna magari lieve pur di non correre il rischio che in secondo grado vada peggio e se ne torni con una pena ancora più pesante. C’è naturalmente chi volgarizza e dice che la possibilità di una condanna ancora piu pesante in appello serve a disinnescare la presunta perfidia con cui gli avvocati incoraggerebbero il cliente a ricorrere sempre e comunque. Ma è appunto una volgarizzazione: il nocciolo è che si vuole minacciare la persona sottoposta a giudizio, anche se innocente.

Legittima difesa: si deve scongiurare che la persona sia sottoposta al processo, o si rischia di incoraggiare un uso disinvolto delle armi?

È inutile illudersi di trovare la legge perfetta: può sempre capitare che il giudice la interpreti male. Ma la disciplina attuale già di fatto presume la difesa legittima se chi è aggredito si trova nel proprio domicilio, basta leggere il secondo comma dell’articolo 52. Si potrebbe forse pensare a limitare il reato di eccesso colposo di legittima difesa ai soli casi di colpa grave. Ma credo sia meglio non toccare quel che abbiamo. Con una sola eccezione: sarebbe giusto prevedere che la persona rinviata a giudizio possa vedersi restituite dallo Stato le somme impiegate per difendersi, una volta riconosciuto innocente. Sarebbe doveroso: ma non farei altro.