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Visita dell'ex Ministra Marta Cartabia all\'Istituto penale per i minorenni con partecipazione di Fondazione Francesca Rava
Con la sentenza numero 8 del 2025, la Corte Costituzionale italiana ha chiarito che l’esclusione dell’accesso alla messa alla prova minorile per alcuni reati gravi, introdotta dal cosiddetto “Decreto Caivano”, non può essere applicata retroattivamente. La decisione della Consulta respinge l’interpretazione secondo cui la modifica normativa avesse natura meramente processuale, ribadendo invece il carattere sostanziale dell’istituto e la necessità di rispettare il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli.
Il controverso Decreto-Legge n. 123/ 2023 (convertito nella Legge n. 159/ 2023), noto come “Decreto Caivano”, è stato adottato per contrastare emergenze sociali come il disagio giovanile e la criminalità minorile, anche alla luce di gravi episodi di cronaca.
Tra le novità, l’articolo 6 ha introdotto il comma 5- bis all’articolo 28 del D. P. R. 448/ 1988 (legge sul processo penale minorile), escludendo la messa alla prova per minori imputati di reati particolarmente gravi, come l’omicidio aggravato (art. 575 c. p.), la violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravate, e la rapina aggravata.
La messa alla prova, istituto cardine del processo minorile, consente di sospendere il processo e avviare un percorso rieducativo: se positivo, porta all’estinzione del reato. Il nuovo comma 5- bis, però, negava questa possibilità in modo automatico per i reati elencati, senza valutare le circostanze specifiche del caso.
Sono due i procedimenti presso il Tribunale per i Minorenni di Bari che hanno portato alla decisione della Corte. Il primo riguarda M. P., un minorenne imputato di violenza sessuale di gruppo aggravata (fatto del 2019), che aveva richiesto la messa alla prova nel 2022. L’altro procedimento riguarda C. A., un minorenne accusato di violenza sessuale aggravata ( 2021), in una situazione analoga. Con l’entrata in vigore del Decreto Caivano ( novembre 2023), il giudice si interrogava sull’applicabilità del nuovo divieto. Per questo motivo ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale, sostenendo che il comma 5- bis violasse l’articolo 31, secondo comma, della Costituzione, il quale impone alla Repubblica di proteggere l’infanzia e la gioventù favorendone il recupero.
I PUNTI CARDINI DELLA DECISIONE
La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni per difetto di rilevanza, ma non senza analizzare nel merito i profili costituzionali. In primo luogo, ha rigettato l’interpretazione secondo cui la messa alla prova sarebbe unicamente un istituto di natura processuale. Pur riconoscendone una componente procedurale, la Corte ha sottolineato come l’esito positivo di tale istituto comporti l’estinzione del reato, incidendo direttamente sulla punibilità e configurandosi così come una norma di diritto sostanziale. Di conseguenza, essa è sottoposta al principio di irretroattività previsto dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione e dall’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Un ulteriore aspetto trattato riguarda il principio di irretroattività in relazione alla modifica introdotta dal Decreto Caivano. Secondo la Corte, l’esclusione della messa alla prova per alcuni reati, che rappresenta un regime più gravoso rispetto alla disciplina precedente, non può essere applicata retroattivamente ai fatti commessi prima del 15 novembre 2023. Tale applicazione retrospettiva violerebbe infatti i principi costituzionali, lesi il diritto all’affidamento del minore nella normativa vigente al momento del fatto. La Corte ha infine criticato la presunzione di irrecuperabilità implicita nel comma 5- bis, che attribuisce una pericolosità assoluta sulla base del solo tipo di reato, trascurando le reali possibilità di recupero del minore.
Questo approccio, secondo il giudice costituzionale, contrasta con la finalità rieducativa che caratterizza il processo minorile e che richiede una valutazione individualizzata, in linea con quanto stabilito dall’articolo 31 della Costituzione.
A supporto delle proprie conclusioni, la sentenza si è riferita anche alla giurisprudenza europea, citando casi come quello Scoppola c. Italia, per ribadire che norme processuali aventi effetti sostanzialmente penalizzanti non possono essere applicate in maniera retroattiva. In sostanza, la messa alla prova, che offre la possibilità di evitare una condanna, viene riconosciuta come un vantaggio sostanziale che va tutelato nel rispetto dei principi costituzionali ed europei.
L’IMPLICAZIONE DELLA SENTENZA
La sentenza porta con sé importanti implicazioni per il trattamento dei minori già coinvolti in procedimenti giudiziari. In primo luogo, i minori imputati di reati commessi prima del 15 novembre 2023 potranno continuare a beneficiare della messa alla prova, anche per quei delitti che, secondo il Decreto Caivano, sarebbero stati esclusi. Questa decisione garantisce che il regime normativo applicato al momento dei fatti continui a proteggere il diritto del minore all’affidamento e alla possibilità di recupero, evitando una retroattività che potrebbe penalizzare ingiustamente i soggetti coinvolti.
Inoltre, la sentenza sottolinea che il legislatore non può procedere a preclusioni automatiche basate esclusivamente sul titolo di reato, senza una attenta valutazione delle specificità del caso concreto. Tale limitazione rafforza il principio che ogni situazione debba essere considerata in modo individualizzato, evitando che regole rigide possano oscurare le reali potenzialità di rieducazione del minore. Infine, la decisione della Corte riafferma l’importanza del modello educativo e rieducativo che caratterizza il sistema minorile, respingendo derive puramente repressive. Si conferma così un orientamento che privilegia il recupero e il reinserimento sociale dei minori, nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La sentenza n. 8/ 2025 riafferma con forza l'importanza di un processo penale minorile che sappia coniugare la necessità di garantire la sicurezza collettiva con il rispetto dei diritti fondamentali dei giovani. In particolare, la Corte ha sottolineato come strumenti essenziali, quali la messa alla prova, non debbano essere sacrificati a favore di tendenze eccessivamente punitive. Al contrario, la Costituzione ci impone di mettere al centro il recupero e la reintegrazione dei minori, anche quando si trovano a dover rispondere di reati gravi.
Questa pronuncia dovrebbe configurarsi come un monito per l'azione legislativa futura, invitando a una riflessione più profonda sui principi di proporzionalità e personalizzazione della giustizia minorile. Essa rappresenta un chiaro richiamo a non ridurre il sistema a mere logiche repressive, ma a valorizzare il potenziale trasformativo degli interventi educativi e rieducativi. In sostanza, la decisione della Corte rimette al centro della questione l’approccio più umano e mirato, capace di favorire il recupero della devianza giovanile e, al contempo, tutelare l'interesse collettivo.