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Giorgia Meloni
Nordio: il nome chiave. Il favorito nel ballottaggio con Casellati alla Giustizia, forse l’ultima variabile sopravvissuta alla semplificazione di Meloni, giustamente passata dal miraggio dei ministri “di alto profilo” al pragmatismo di una compagine tutta, o quasi, politica. Sull’ex magistrato forse Meloni piegherà il Cavaliere. Però Carlo Nordio è anche il simbolo della contraddizione. Perché in effetti Fratelli d’Italia dovrebbe spiegare com’è possibile spingere con tanta energia per un guardasigilli di limpida ispirazione garantista qual è certamente l’ex procuratore aggiunto di Venezia e, negli stessi minuti, presentare una proposta di legge costituzionale che stempera il fine rieducativo, risocializzante della pena, che ne intacca l’ideale immunità da qualsiasi tratto disumano. Dovrebbe spiegarlo, Fratelli d’Italia, perché quel progetto di riforma dell’articolo 27 è un colpo pesantissimo all’architettura dei diritti. È un grimaldello che rischia di corrodere il più importante principio del diritto penale liberale, secondo cui a chiunque, anche al più reprobo, anche al peggiore dei criminali, deve poter essere lasciato un residuo di speranza, uno spiraglio non solo di redenzione ma anche di possibile libertà. Deve spiegare, Fratelli d’Italia, com’è possibile colpire fino a questo punto, fino a stanarlo nel guscio protetto della Costituzione, il principio dell’umanità della pena. Perché l’attacco porta con sé di tutto, conseguenze persino difficili da calcolare. Può rendere non più incompatibile con il nostro sistema dei diritti quella “morte per pena”, come la definiscono i radicali, che differisce davvero di pochissimo dalla pena di morte. Chiediamo chiarezza su questo, al partito di maggioranza relativa e alla presidente del Consiglio in pectore, non solo perché è giusto capire da che parte stanno: se dalla parte di Nordio e delle garanzie o dei “buttatori di chiave”, dell’ossessione per la pena certa che in realtà si traduce nel carcere certo, senza alternative extramurarie. Non è questo il solo interrogativo, perché dietro una contraddizione così lampante si nasconde anche il rischio che la giustizia diventi una cosa poco seria, in questa legislatura. Che finisca per essere il campo aperto delle contraddizioni, il terreno del tutto e del contrario di tutto, del garantismo e delle riforme liberali auspicate da molti, dai penalisti innanzitutto (inappellabilità delle assoluzioni, separazione delle carriere, tutela mediatica di chi è sotto accusa), ma anche delle solite elargizioni al popolo giustizialista. Ora, sappiamo bene che un partito di destra deve tutelare se stesso. Anche nell’identità di garante del principio “legge e ordine”. Non ci sfugge che per Fratelli d’Italia sia difficile riconvertirsi all’improvviso in una sorta di Partito radicale di destra. Ma ci piace insinuare un dubbio, concedeteci il giochino, in una leader di grande intelligenza e visione come Meloni: siamo sicuri che la battaglia garantista in fondo non sia già di per sé nell’ispirazione del nascente governo? Perché attenzione: Meloni sta appunto per proporre a Mattarella una lista di ministri che, con la sola probabile eccezione di Nordio, è politica tout court, e questa è una grandissima lezione per la retorica dell’antipolitica, del presunto marciume che sarebbe connaturato alle istituzioni, su cui il populismo ha fatto fortuna. Sa bene, Meloni, che quella retorica e quella fortuna devono moltissimo al populismo giudiziario. E distaccarsi una volta per tutte dal populismo giudiziario, a costo di una pur impegnativa riconversione garantista, sarebbe uno straordinario puntello per il ritorno al primato della politica, che il governo Meloni sembra meritoriamente accingersi ad incarnare. Non si tratta di arrivare a Pannella, cara Meloni, questo no, ma di cancellare con un tratto liberatorio di penna una stagione che, con la scusa delle mani pulite, ha legato le mani alla politica e dunque ai cittadini.