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Dopo l’arresto di Antonello Nicosia, ex esponente dei radicali italiani e collaboratore parlamentare fermato per associazione mafiosa continuano le polemiche. Secondo i Pm, tra le varie accuse, Nicosia avrebbe utilizzato la possibilità di accedere agevolmente agli istituti di pena al seguito della deputata Giuseppina Occhionero per veicolare all'interno e dall'esterno messaggi e ordini dei boss. Ma è possibile che ciò sia avvenuto nonostante le rigide regole per quanto riguarda le visite ispettive, soprattutto in ambienti sensibili come il 41 bis?
Ne parliamo con Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà, che pochi giorni fa ha ricevuto la laurea honoris causa all’università Roma Tre, per la prima volta in Italia, mentre lo stesso riconoscimento gli era stato consegnato dieci anni fa dall’ateneo di Buenos Aires. La laurea è stata consegnata dal Rettore dell’ateneo romano Luca Pietromarchi e dai professori Giovanni Serges e Marco Ruotolo, su proposta del giurista Luigi Ferrajoli, di Guido Raimondi ( presidente uscente della Corte europea dei diritti dell’uomo) e di Massimo Bray ( direttore editoriale della Treccani). Da sottolineare che nella sua lectio magistralis, ha ripercorso i temi di un diritto penale che deve sempre e costantemente andare a “vedere” la propria applicazione concreta. L’opposto, dunque, della Giustizia come “dea bendata”, in maniera tale che «la bilancia torna così a misurare la nostra capacità di incamminarci in questo percorso».
Come Garante nazionale delle persone private della libertà, che conosce molto bene il funzionamento delle visite ispettive, pensa che sia davvero possibile potersi muovere nelle sezioni del 41 bis e parlare con i reclusi con tanta facilità e agibilità in luoghi che dovrebbero essere tenuti sotto strettissima sorveglianza?
Premettendo che il sistema non è assolutamente un colabrodo, è chiaro che, teoricamente, può accadere che si possano verificare tentativi di comunicazione senza essere monitorati. Io penso che occorra essere rigorosi. Innanzitutto bisogna distinguere le posizioni. Il Garante nazionale ha colloqui riservati con i detenuti al 41 bis, come previsto dalla normativa Onu, ma è una prerogativa solo del Garante Nazionale. Dopo di che, sulle altre situazioni, per i Garanti regionali, bisogna distinguere tra visite e colloqui: le prime sono sostanzialmente come le ha raccontate ad esempio ieri Luigi Manconi su Il Dubbio, mentre il colloquio riservato è cosa diversa e su questo c’è discussione dal punto di vista del monitoraggio, perché alla fine la Cassazione ha chiarito che solo il Garante Nazionale può avere colloqui non monitorati. Poi ci sono le visite dei parlamentari, i quali vengono accompagnati dai propri collaboratori e le persone che accompagnano i parlamentari nella visita devono essere persone con un definito contratto di collaborazione, non casualmente dichiarati collaboratori sul momento. Questo avviene sia per i detenuti comuni che per quelli in 41 bis. La questione riguarda un po’ il tema del rapporto di fiducia con il collaboratore. Penso personalmente che per gli ambienti particolarmente sensibili, se fossi parlamentare, valuterei attentamente il curriculum del mio collaboratore. Io sono cauto, per evitare anche che partendo da un singolo caso non si arrivi ad attaccare l’intero sistema.
Quindi, possiamo dire che ci sono delle falle in cui uno, come collaboratore in mala fede, potrebbe veramente approfittare della visita per veicolare dei messaggi?
Diciamo che ci sono delle falle comunicative: quando passi nei reparti, e parli con l’uno e con l’altro, non si può escludere che dei rischi comunicativi vi possano essere.
Però ci dovrebbero essere i Gom a controllare.
Certamente. I Gom devono controllare ed è vero, però i detenuti al 41 bis si trovano tutti lungo il corridoio in cui si cammina; quindi quando uno cammina e si ferma a parlare, un rischio di comunicazione non monitorata potrebbe esserci.
Secondo lei dovrebbero cambiare radicalmente il sistema delle viiste attuali?
No, il sistema funziona. Ogni organizzazione umana ha sempre qualche rischio. Non è infallibile. Non sappiamo se nel caso specifico ( quello di Nicosia, ndr) sia stato sbagliato qualcosa e questo lo appurerà la magistratura, ma secondo me lo sbaglio è criminalizzare il fatto che ci siano le possibilità di visite, come anche lanciare sospetti su chi critica il sistema del 41 bis perché troppo afflittivo e che va oltre il suo scopo originario. Al netto del fatto che ci siano tante cose che vanno abolite nel regime del 41 bis, questo sistema delle visite io ritengo che funzioni e non vada cambiato.
Il senatore di Leu Pietro Grasso ha proposto di togliere ai collaboratori del parlamentare l’autorizzazione alla visita del 41 bis. Secondo lei i collaboratori sono indispensabili?
Secondo me sono utili soprattutto perché aiutano a ricordare quello che si vede. Anzi, in genere io sono contrario al colloquio da singolo in 41 bis: anche io non incontro detenuti al 41 bis da solo. C’è sempre qualcun altro, anche se di solito non mi porto collaboratori ma una delle mie due colleghe del collegio del Garante. Per esempio se voglio portare dei collaboratori dell’ufficio, li faccio entrare con me al colloquio riservato uno per volta, cambiandoli ogni 15 minuti: questo perché ritengo utile prendere molte cautele.
Ma esiste davvero la “lobby dei garantisti”?
Semmai è la lobby di quelli che aderiscono alla Costituzione. L’altro giorno quando ho concluso la mia Lectio magistralis, la prima persona che mi è venuta ad abbracciare è stato il Presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, poi il secondo l’ex Presidente della Corte Europea dei diritti umani Guido Raimondi. Non possiamo ridurre tutto a screzi tra giustizialisti e garantisti, come non possiamo pensare che vadano riviste le regole, ma neanche non immaginare di mettere mano alle procedure laddove queste possano risultare un po’ lasche.