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Mattarella
Ci sono priorità assolute che non sfioriscono col trascorrere del semestre bianco. Sergio Mattarella ne ha una in particolare: assicurare la svolta nel travagliato cammino della magistratura. E se le settimane che separano il Presidente dalla conclusione del settennato rappresentano un cuscinetto troppo sottile, ieri Mattarella ha fatto capire che quel tempo così breve dovrebbe bastare per ottenere la riforma del Csm. O almeno l’approdo definitivo del nuovo sistema per eleggere i togati: perché non si può rischiare, ha avvertito, di «indire le elezioni per il rinnovo del Consiglio superiore con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili».
Il Capo dello Stato ne parla in una cornice solenne e scelta non a caso: la Scuola superiore della magistratura, di cui si celebra il decennale. Scandisce: «Il dibattito sul sistema elettorale per i componenti del Consiglio superiore deve ormai concludersi con una riforma che sappia sradicare accordi e prassi elusive di norme». È una frase pesante, che in poche battute riassume un quadro di indisturbati abusi corporativi. Mattarella ricorda che le vigenti «norme» per la scelta dei togati, seppur «poste a tutela della competizione elettorale», in realtà sono state «talvolta utilizzate per aggirare le finalità della legge». Cosa che, realizzata da chi, della legge, dovrebbe assicurare la corretta applicazione, non è proprio il massimo.
Mattarella dice basta alla deriva correntizia
Le pieghe impietose del discorso presidenziale sono forse più aspre dei richiami rivolti da Mattarella al Csm già due anni fa, subito dopo il deflagrare del caso Procure. Anche perché l’evocazione di quelle «prassi elusive» chiarisce una cosa: la deriva correntizia, il mercato delle nomine, non sono un episodico eccesso degli ultimi due o tre anni, ma l’epifenomeno di una concezione distorta dell’autogoverno radicatasi per decenni.
Subito la riforma del Csm
Non a caso, al cuore del suo discorso, Mattarella non solo definisce «non più rinviabile la riforma del Csm», ma ricorda come «l’organo di governo autonomo, quale presidio costituzionale per la tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura» sia «chiamato ad assicurare le migliori soluzioni per il funzionamento dell’organizzazione giudiziaria, senza mai cedere a una sterile difesa corporativa». È un monito che riguarda sì le logiche interne a Palazzo dei Marescialli, che vanno radicalmente cambiate, ma che segnala anche una questione più immediata: la rinuncia alla «sterile difesa corporativa», per Mattarella, deve avvenire innanzitutto nelle discussioni che l’Anm e le sue correnti inscenano sulla riforma. Una litigiosità autoreferenziale che al Colle dev’essere sembrata incredibile.
Non solo Mattarella, parlano anche la Cartabia ed Ermini
L’evento si tiene ieri mattina nella consueta sede della Scuola superiore: a Scandicci, nella villa di Castel Pulci. Intervengono anche le altre due figure istituzionali chiamate a dirimere le tensioni sulla riforma: la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il vicepresidente del Csm David Ermini. Entrambi puntano su un concetto: «La formazione del magistrato ne garantisce la legittimazione», come dice il vertice di piazza Indipendenza. E la guardasigilli è altrettanto netta nel definire il percorso formativo un alleato «per il pieno recupero della credibilità e della fiducia nella magistratura». Aggiunge: quel recupero è l’obiettivo «a cui tutti lavoriamo».
Dopo ieri, si può dare per assai probabile che gli attesi emendamenti di Cartabia al ddl sul Csm arrivino a brevissimo. Forse si voleva ottenere prima il via libera alla riforma del civile, per evitare sovrapposizioni: ma con la fiducia votata ieri a Montecitorio sulla legge delega per il nuovo processo, si può evidentemente passare al dossier magistrati.
Un atto di coraggio
Il Capo dello Stato parla con estrema chiarezza. Forse anche alla politica: sa che cambiare il Csm implica un atto di coraggio. Definisce «indispensabile che la riforma venga al più presto realizzata, tenendo conto dell’appuntamento ineludibile del prossimo rinnovo del Consiglio superiore. Non si può accettare il rischio», infatti, «di doverne indire le elezioni con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili».
È urgente «rivitalizzare le radici deontologiche» della magistratura. «Le vicende registrate negli ultimi tempi», avverte ancora il Presidente, «non possono e non devono indebolire l’esercizio della funzione giustizia, essenziale per la coesione di una comunità, attività svolta quotidianamente, con serietà, impegno e dedizione, negli uffici giudiziari. Se così non fosse, ne risulterebbero conseguenze assai gravi per l’ordine sociale e nocumento per l’assetto democratico del Paese. Ma occorre un ritrovato rigore». È in gioco la democrazia. Spazio per sotterfugi, Mattarella non ne vede più.