Il 3 ottobre, una sconvolgente vicenda di presunta violenza ha turbato la quiete del carcere di Marassi a Genova. Secondo l'esposto presentato dall'Associazione Yairaiha Ets, impegnata nella tutela dei diritti dei detenuti, un giovane detenuto con disturbi della personalità sarebbe stato vittima di un brutale pestaggio da parte di agenti penitenziari.

L'episodio, secondo la ricostruzione che Il Dubbio ha potuto visionare, avrebbe avuto inizio in sala colloqui, mentre il giovane, Yousef, si preparava a incontrare il proprio avvocato. Durante il tragitto, un alterco con un brigadiere della polizia penitenziaria sarebbe degenerato rapidamente. Stando alla testimonianza, tutto sarebbe iniziato con un semplice saluto, percepito da Yousef, particolarmente fragile dal punto di vista psichico, come una provocazione. La reazione esclusivamente verbale del detenuto, seppur aggressiva, sarebbe stata scatenata da questo episodio.

Il brigadiere, a sua volta, avrebbe reagito in modo sproporzionato, sia verbalmente che fisicamente. Avrebbe cominciato a urlare: «Tu non sai con chi hai a che fare, come ti permetti di rispondere così, tu sai chi cazzo sono io?». Poi il brigadiere avrebbe colpito Yousef con uno schiaffo, rompendogli gli occhiali da vista e ferendolo al volto.

La scena, stando sempre al racconto, si sarebbe spostata nella sala colloqui. Yousef, visibilmente scosso, gli occhiali rotti a testimoniare l'accaduto, cerca conforto nel suo avvocato che l’attende nella sala colloqui. Ma la tregua è breve. Il brigadiere, come un predatore che non vuole lasciare andare la sua preda, irrompe nella sala, rinnovando le sue provocazioni, gli insulti, le minacce. La tensione sale, l'aria si fa elettrica. In un disperato tentativo di autodifesa, il detenuto avrebbe cercato di reagire. Ed è qui che la situazione sarebbe degenerata del tutto. Come rispondendo a un richiamo silenzioso 5 o 6 agenti penitenziari sarebbero arrivati in rinforzo. E poi... il buio. Un pestaggio brutale, sproporzionato, che non avrebbe tenuto conto né della vulnerabilità psicologica del detenuto, né dei principi più basilari di umanità.

L'Associazione Yairaiha, nell’esposto, sottolinea che il disturbo borderline di Yousef lo rende particolarmente vulnerabile allo stress e alle provocazioni, una condizione che avrebbe dovuto indurre il personale a maggiore cautela. Viene menzionata la presenza di potenziali testimoni, incluso l'avvocato di Yousef e un altro avvocato presente nella sala colloqui. Inoltre, l’esposto riporta che la sorella di Yousef sarebbe stata contattata dalla madre di un altro detenuto, il quale avrebbe notato le condizioni di Yousef durante l'ora d'aria.

Suscita perplessità il successivo trasferimento improvviso di quest'ultimo detenuto, avvenuto il 5 ottobre, che potrebbe far sorgere dubbi sulla possibilità di allontanare potenziali testimoni. L'Associazione Yairaiha Ets chiede pertanto un'indagine urgente, con l'acquisizione di tutte le testimonianze disponibili e di eventuali registrazioni video. Richiede inoltre l'adozione immediata di misure volte a garantire la sicurezza e l'integrità psicofisica di Yousef, nonché un costante monitoraggio del suo stato di salute mentale durante la detenzione.

L'esposto-querela è stato presentato contro i soggetti responsabili dei presunti fatti delittuosi, con riserva di costituirsi parte civile. L'Associazione chiede di essere costantemente informata sull'andamento delle indagini, sull'eventuale archiviazione del procedimento o sull'esercizio dell'azione penale. A corredo dell'esposto, sono state allegate una copia della perizia psichiatrica del giugno 2023, che attesta il disturbo di Yousef, e delle immagini degli ematomi riportati dal detenuto, acquisite tramite screenshot durante una videochiamata con la sorella. Tali elementi, a parere dell'Associazione, corroborano la versione dei fatti denunciata.

L'Associazione Yairaiha, rappresentata dall'avvocato Vito Daniele Cimiotta del Foro di Marsala, intende fare piena luce su questa grave vicenda, che getta l’ennesima ombra inquietante sul sistema carcerario. Come può un luogo deputato alla riabilitazione trasformarsi in un teatro di violenza? E come può un disturbo psicologico, che richiederebbe comprensione e supporto, diventare invece il pretesto per un'escalation di brutalità? Queste sono le domande a cui si chiede di rispondere.