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La difesa dei bambini a rischio e gli strumenti per la loro tutela: è questo il tema della due giorni organizzata dalla Scuola superiore dell’avvocatura e Save the Children Italia, col patrocinio del Cnf, che ospita nella sua sede il corso di alta formazione per avvocati ed esperti di diritto minorile. Un ciclo di incontri che, a partire da casi concreti, si propone di fornire indicazioni sugli aspetti sostanziali e procedurali in ambito nazionale ed europeo per la tutela dei diritti dei minorenni più a rischio. Ad aprire i lavori il presidente del Cnf Andrea Mascherin, che ha salutato i presenti evidenziando l’importanza dell’evento. «Formarsi su questo argomento - ha sottolineato - non è solo tecnicamente importante ma è socialmente importante per l’acquisizione di un peso sociale della figura dell’av- vocato, che è la grande scommessa del futuro». La grande sfida, ha spiegato, è impegnarsi in maniera responsabile «su temi fondamentali, quali quelli della tutela dei minori, che per lo sviluppo della società, forse, è il tema dei temi». Attraverso questo genere di corsi, che porta non solo ad un miglioramento tecnico, «ma soprattutto disegna un’avvocatura che in questi settori si impegna consapevole della propria responsabilità». L’avvocato è, infatti, quello che più di tutti metabolizza «le sofferenze e le problematiche» dei propri clienti, vivendo «di fattispecie spesso drammaticamente concrete». Perché i tribunali, ha aggiunto, «sono luoghi di sofferenze e non di spettacolo, come qualcuno vorrebbe. E lì in mezzo, tra la sofferenza e il giudicante, ci siamo noi». In videocollegamento anche il presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, che ha deciso di sottrarre nuove leve alla ‘ ndrangheta allontanando i figli dei boss dalle loro famiglie. Nel 2018, spiega, il tribunale di Reggio Calabria si ritrova a giudicare i figli di coloro che venivano processati negli anni ‘ 90. Tutti con le stesse accuse: associazione mafiosa. Un dato che «rappresenta la conferma che la cultura di ‘ ndrangheta si eredita» e il potere è un fenomeno di continuità, che come prime vittime proprio i minori. Una convinzione che ha spinto i magistrati, dal 2012, a «provare a censurare il modello educativo mafioso». Provvedimenti - che coinvolgono finora 60 minori - che non mirano «ad inculcare ideologie di Stato» : si interviene caso per caso, quando il modello educativo mina il sereno sviluppo emotivo dei minori e per tutelarli dalle situazioni di faida. I ragazzi vengono inseriti in casa famiglia, sia per assicurare adeguate tutele sia per consentire di sperimentare orizzonti culturali e sociali alternativi, nella speranza di dotare questi giovani degli anticorpi necessari per liberarsi del giogo criminale.