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Marta Cartabia
Pubblichiamo una parte della Lectio degasperiana 2020 “Costituzione e ricostruzione” che la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, ha tenuto a Pieve Tesino lo scorso 18 agosto. «Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi». Questo splendido passo di Isaia (Is 58,12), a me molto caro, ci introduce al tema scelto con grande lungimiranza dagli organizzatori per la Lectio degasperiana di quest’anno: «Ricostruzione e Costituzione».La parola ricostruzione risuona da mesi nella riflessione pubblica ed è risuonata nel corso di questa estate, specie nelle ultime settimane, in occasione della cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte di Genova, ricostruito, appunto, dopo la tragedia del crollo di due anni fa. In quella occasione, l’architetto Renzo Piano, che ha donato il progetto del nuovo ponte, nel suo intervento di saluto, ha espresso, con parole bellissime, pensieri profondi da cui desidero prendere le mosse per la nostra riflessione odierna. Anzitutto, ha osservato, la ricostruzione è sempre figlia di una tragedia, di una frattura che non si cancella e non si dimentica; una ferita che non si rimargina – come ha sottolineato il Presidente della Repubblica nella medesima occasione – e diventa l’essenza stessa di quello che saremo. La ricostruzione incorpora, dunque, un passato che non si può ripristinare così come era, ma richiede un rinnovamento. Per ricostruire occorrono un’idea e un cantiere, prosegue l’illustre architetto e senatore. Un’idea, per dare forma a ciò che non l’ha più. Un cantiere, per realizzare quell’idea attraverso il lavoro, l’opera instancabile e tenace di una comunità di persone. 2 Similmente, la ricostruzione dell’Italia dopo la catastrofe alla fine della Seconda guerra mondiale, ha richiesto un ideale – che ha la stessa radice etimologica di idea – e un lavoro nato dal coinvolgimento di un popolo. In quella ricostruzione Alcide De Gasperi svolse un ruolo preminente, come uomo di pensiero e di azione. Anche allora c’erano tragedie, fratture, macerie e ferite non rimarginabili; anche allora fu necessaria un’idea per ridare forma nuova alla convivenza civile di un popolo disorientato; anche allora fu necessario un grande cantiere per ricostruire su solide fondamenta la casa comune. Oggi, come allora, – superate le fasi più acute dell’emergenza innescata dalla pandemia – siamo alle prese con una ricostruzione, avviata quando si è incominciato a pensare al “dopo”. A un “dopo” che difficilmente potrà assumere la forma di un semplice ritorno al “prima”, sia pure dopo una parentesi lunga, dolorosa e straniante, ma pur sempre una parentesi. In questo frangente, è più che mai fecondo riandare alle fonti della storia. (…).In questa prospettiva, ricco di spunti di riflessione anche per il nostro oggi è il percorso di un uomo, qual è Alcide De Gasperi, che ha fatto della ricostruzione una delle sue principali preoccupazioni e, soprattutto, il metodo della sua azione politica; un uomo che, non a caso, ha operato da protagonista sulla scena pubblica proprio in quel decennio della storia d’Italia che viene usualmente denominato «periodo della ricostruzione» dopo le guerre e il fascismo. Significativo è che il documento più organico in cui si possono rintracciare le linee di pensiero e di azione di Alcide De Gasperi rechi il titolo «Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana» del 1943. Egli contribuì alla ricostruzione con pensiero e azione: idee e cantieri, per riprendere ancora la felice immagine usata da Renzo Piano. Il contributo di De Gasperi alla ricostruzione non può essere compreso disgiungendo questi due aspetti, che in lui furono sempre uniti. Il primo è quello più propriamente di pensiero, che egli ebbe modo di elaborare in particolare durante il periodo dell’“esilio” in Vaticano e del lavoro condiviso con gli esponenti del Partito Popolare e con i giovani che avevano preso a riunirsi dall’inizio del 1940 a casa di Sergio Paronetto. Qui si era incominciato a ragionare seriamente di ricostruzione. Tra le personalità che partecipavano a questi incontri, che sarebbero poi scaturiti nella redazione del Codice di Camaldoli del 1943, vi erano oltre allo stesso De Gasperi, anche Guido Gonella, Giuseppe Spataro, Mario Scelba, Pasquale Saraceno, Mario Ferrari Aggradi e infine anche Giulio Andreotti. (…)La sua azione ricostruttiva, dunque, si muoveva contestualmente su una pluralità di piani e rispondeva a una «visione integrale» dei bisogni che urgevano. Tutt’altro che secondaria per lui fu altresì la componente morale e culturale. Il suo imponente “cantiere ricostruttivo” portò a risultati tangibili, da più parti qualificati come prodigiosi nella storia d’Italia e d’Europa, perché egli non trascurò mai il “fattore umano” nella sua integralità, convinto che «più che i programmi contano gli uomini che sono chiamati ad attuarli». (…)Veniamo più da vicino al tema della nostra riflessione che è «Ricostruzione e Costituzione»: ed è sul terreno costituzionale, a me più familiare, che intendo rimanere saldamente ancorata. È bene però sin da subito sottolineare che per comprendere il contributo così ricco e articolato, come quello che offrì De Gasperi alla ricostruzione costituzionale, occorre affrancarsi da una nozione meramente testualistica di Costituzione per abbracciarne una più ampia e ricca, che include la prima, ma non si esaurisce in essa. Le costituzioni nascono dalla storia e vivono nella storia. Il momento della scrittura di una costituzione è un momento epico nella vita di un popolo; eppure, solo con la scrittura, la Costituzione non può garantire se stessa. Occorrono soggetti sociali, politici e istituzionali che siano in grado di conferire alle scelte costituzionali solide fondamenta e radici robuste, capaci di reggere all’urto delle intemperie. Per questo rimane attuale l’intuizione fondamentale di Costantino Mortati che ci ha consegnato una nozione complessa di costituzione, risultante tanto dal testo scritto – la Costituzione formale – quanto dai rapporti tra le forze sociali e politiche – la Costituzione materiale. Ed è proprio su questo piano che si può apprezzare il lascito di De Gasperi. Infatti, chi si basasse solo sul processo di scrittura della nuova carta costituzionale, cioè si affidasse solo lettura dei lavori dell’Assemblea costituente, ne trarrebbe l’impressione di una assenza o di una presenza assai parsimoniosa: fatto salvo un intervento importante al momento dell’approvazione del futuro articolo 7 della Costituzione sui rapporti con la Chiesa cattolica, si annoverano altri due brevi interventi, all’inizio e alla fine dei lavori, e niente più. Se paragonato al contributo degli altri cattolici eletti in Assemblea costituente – Dossetti, La Pira, Moro, solo per citare alcuni nomi eminenti – l’apporto diretto di De Gasperi alla scrittura della carta costituzionale appare assai contenuto. Eppure, non errano quegli osservatori italiani e stranieri che attribuiscono un ruolo di spicco allo statista trentino in tutta la fase costituente. In anni recenti, un autorevolissimo osservatore esterno al dibattito politico italiano non esita a definire De Gasperi come vero e proprio leader carismatico della svolta costituzionale italiana dopo la fine della seconda guerra mondiale. Si tratta di Bruce Ackerman, eminente costituzionalista dell’Università di Yale, che nella sua più recente opera che indaga sulle origini e sulla legittimazione delle Costituzioni contemporanee riserva un ampio spazio alla nascita della Costituzione (…)La sua fu un’opera di “coibentazione” e consolidamento delle istituzioni repubblicane e della nascente democrazia, attraverso un’azione di politica interna ed estera che si svolse parallelamente ai lavori dell’Assemblea costituente, per assicurarne la permanenza al di là del mutare dei governi. De Gasperi aveva visto in prima persona cadere sotto i colpi del fascismo non solo il costituzionalismo italiano, ma anche la Costituzione di Weimar del 1919, avanzatissima nei suoi principi, ma fragilissima nella sua struttura, in cui non si era riusciti a trasferire al nuovo sistema politico la lealtà degli apparati del vecchio: un fallimento, quello di Weimar, che spianò la strada al nazionalsocialismo e all’ascesa di Hitler in Germania. (…)«Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l'obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno. Noi tutti però sappiamo, egregi colleghi, che le leggi non sono applicabili se, accanto alla forza strumentale che è in mano al Governo, non vi è la coscienza morale praticata nel costume». De Gasperi veniva da lontano e guardava lontano: per questo vedeva nella stabilizzazione nazionale, europea e internazionale il necessario complemento all’operazione costituente, che egli perseguiva con la sua azione di governo, distinta ma parallela ai lavori della Costituente. Collocato in questo contesto di più ampio respiro, il numero limitato dei suoi interventi diretti ai lavori dell’Assemblea costituente è, dunque, un indicatore scarsamente significativo per valutare la reale incidenza che il pensiero e l’azione di De Gasperi spiegarono sulla configurazione del nuovo ordine costituzionale. Al contrario, la fase costituente fu segnata profondamente dalla sua azione. Tra l’altro, egli contribuì con un apporto decisivo ad alcune fondamentali scelte di metodo che agevolarono la transizione, permettendo che la Carta costituzionale fosse scritta in tempi relativamente brevi e soprattutto in un clima pacifico e collaborativo fra tutte le forze politiche antifasciste, anche nei momenti più critici e di maggior tensione. Si possono evidenziare tre punti: anzitutto la scelta per la Costituente in luogo del metodo insurrezionale; in secondo luogo la decisione a favore del referendum istituzionale; infine, la delimitazione dei poteri dell’assemblea costituente, escludendo dal suo campo di intervento l’azione di governo e la legislazione ordinaria.Sul primo fronte, occorre osservare che sin dall’epoca delle discussioni in sede di CNL si fece fautore dell’idea di una Assemblea costituente in opposizione all’ipotesi insurrezionale avanzata dai socialisti. Famose sono le dichiarazioni che egli pronunciò in sede di CNL: «Non temo la parola rivoluzione, ma ne ho fastidio dopo venti anni che il fascismo, richiamandosi ai diritti della rivoluzione, ha commesso tante soperchierie e violato i diritti dei cittadini. Ad ogni modo la vera rivoluzione è la Costituente». La vera rivoluzione è la Costituente. De Gasperi è lapidario. Le sue parole lasciano intendere che sullo sfondo si svolgeva una discussione condizionata dalla dicotomia restaurazione–rivoluzione, come se l’alternativa che si poneva alla fine del fascismo fosse un aut-aut: o un ritorno al passato, o un sovvertimento radicale, una palingenesi sociale da imporsi con il metodo insurrezionale. De Gasperi non si fa intrappolare nell’alternativa tra nostalgie e utopie. Dal punto di vista metodologico egli prediligeva la strada della ricostruzione, una terza via alternativa tanto alla mera restaurazione quanto alla radicalità della rivoluzione. E tale via passava attraverso una Costituente, democraticamente eletta. Il suo obiettivo era di assicurare alla nascente democrazia una prospettiva stabile e proiettata a lungo nel futuro, ben oltre il momento epico della fase costituente, cosa che la rivoluzione non era in grado di assicurare: «noi siamo preoccupati soprattutto di salvare nel futuro lo Stato democratico noi desideriamo il metodo permanente della democrazia, che è l’antirivoluzione». Altrettanto netta è la sua posizione quanto al metodo per risolvere la questione istituzionale, nella scelta cruciale tra monarchia e repubblica. Questa alternativa era fortemente lacerante sul piano politico, lungo vari crinali che dividevano il paese. Per questo, la sua proposta fu sempre chiara nel voler sottrarre questo compito gravoso all’Assemblea costituente. Il nodo tra monarchia o repubblica doveva essere sciolto con un voto diretto da parte del popolo. (…)Il favore di De Gasperi per il referendum istituzionale era mossa anche dall’obiettivo di evitare che l’ombra della discussione su un punto così controverso, si proiettasse sui lavori dell’Assemblea costituente, avvelenandone il clima. (…). Egli non volle mai caricare l’Assemblea costituente delle funzioni di legislazione ordinaria, che vennero portate in capo all’esecutivo. Le uniche eccezioni erano costituite dalla legislazione elettorale e quella di ratifica dei trattati internazionali 9 Ciò si rivelò provvidenziale giacché permise di mantenere il clima di collaborazione fra tutte le forze politiche all’interno dell’Assemblea costituente anche nel corso del ’47, quando il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti portò a un progressivo inasprimento dei rapporti con i comunisti, culminato, nel maggio del medesimo anno, con la loro esclusione dal governo. Erano i mesi decisivi per la conclusione del Trattato di pace e, allo stesso tempo, per il perfezionamento del testo costituzionale. Le tensioni di quel momento sono impresse nella memoria di tutti per la forza delle parole con cui prese l’abbrivio il suo famoso discorso a Parigi al Palazzo del Lussemburgo, di fronte ai delegati delle potenze vincitrici: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me. ho il dovere di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista ». A Parigi, come già a Londra, si trovò in un ambiente di freddezza e di sospetto. Ma parlò con nobiltà, come rappresentante dell’Italia, ma dell’Italia democratica; come uno che per la libertà aveva patito. (…)Questi tre interventi – l’Assemblea costituente, il referendum istituzionale e la distinzione dell’azione di governo da quella propriamente costituzionale – permisero di «gettare un ponte sull’abisso» e di giungere al più grande rivolgimento della storia politica moderna d’Italia nella 10 concordia, mentre altrove furono guerra civile, terrore e massacri, come egli stesso osservò nel suo discorso all’Assemblea costituente il 25 giugno 1946. C’è da chiedersi da dove De Gasperi attingesse una tale chiarezza di giudizio, una tale tenacia nell’azione e una tale creatività nell’individuazione di soluzioni praticabili e condivisibili, in un periodo così confuso e convulso, eppure così decisivo, della storia di Italia e d’Europa. Lascio a chi meglio di me conosce la sua storia personale individuare le sue risorse più profonde, che forse più adeguatamente possono rispondere a questo interrogativo. (…) La sua linea politica è orientata alla continua ricerca del centro, in modo da ricomporre le inevitabili polarità, guardando anzitutto ai fatti: di qui l’idea di ricostruzione che, come si è detto, non è restaurazione, ma neppure rivoluzione: «Il ricostruttore non s’indugerà in discussioni ideologiche alla ricerca dello Stato ideale né, d’altro canto, si lascerà turbare dai miti di una palingenesi rivoluzionaria», si legge nel Testamento politico che prosegue, richiamando ironicamente una battuta del politico belga Félix de Mérode: «Quando ordino un paio di scarpe il calzolaio prende le misure sul piede mio e non su quello di Apollo». La ricostruzione che egli propone è un metodo che parte dal dato di realtà, confida nella forza dei fatti e segue le tracce presenti nella storia così com’è. Tra tante, spicca una qualità della sua azione politica che, mi pare, derivi proprio dalla sua caratteristica di uomo di confine, sempre chiamato a camminare su un crinale, a muovere i suoi passi in ambienti impervi, insidiosi e severi: la qualità è quella di un realismo lungimirante. Certo, si potrebbe obiettare, c’è un realismo prigioniero della realtà stessa, che si risolve in un immobilismo, in pura fatalistica conservazione. Ma non è questo il realismo che caratterizza l’azione e, oserei dire, la vita di De Gasperi: la traccia che egli ha lasciato nella storia d’Italia e d’Europa è quella di un rinnovamento che pesca nell’esistente e ha un respiro di lungo periodo. La sua è una politica che pone le basi di alcuni orientamenti di fondo, alcuni dei quali si realizzano subito e altri matureranno nel tempo. Il suo è un realismo lungimirante, perché animato da grandi ideali, «impregnato di idealità», come ebbe già a scrivere nel 1922 su «Il Nuovo Trentino»; un realismo che lo accomuna ai fondatori dell’unificazione europea espresso nella famosissima dichiarazione del 1950 di Robert Schuman, anch’egli significativamente, uomo di confine. (…).In una lettera del 7 luglio 1928, scritta dal carcere mentre la sua famiglia si trovava in montagna per il periodo estivo, De Gasperi scrive: «Anche io sto preparandomi per una scalata di roccia sai dove sto esercitandomi? Nelle Malebolge dell’inferno dantesco, con Virgilio che dirige la scalata, senza corda e senza piccozza (per il pericolo del fulmine). Ma intanto (prosegue la lettera, introducendo una splendida citazione dantesca): Così, levando me su ver la cima D’un ronchione, avvisava un’altra scheggia, Dicendo: Sopra quella poi t’aggrappa; ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia. Non era via da vestito di cappa». 13 Il metodo di De Gasperi è tutto qui. Il cammino sicuro del montanaro, dal passo fermo che arriva senza dubbio alla vetta: «uno stile di concretezza, di rigore, di realismo, animato da una grande tensione ideale: è De Gasperi», come ricordava Pietro Scoppola qualche anno fa in questa medesima occasione, nella prima Lectio del 2004. Non è l’assenza delle avversità a permettere la ricostruzione e la rinascita, ma il saper discernere una strada percorribile che le attraversa e le supera, di un superamento che innova, di un’innovazione che non rinnega il passato, che non si arresta mai neppure di fronte a un ponte crollato, come nelle Malebolge dantesche: levando me su in ver la cima. Una via percorribile, indicata da una guida sicura; percorribile per quanto scomoda e impervia – non era via da vestito di cappa - erta, esposta e disagevole, lungo la quale il ruolo di chi conduce sta tutto nell’avvistare, passo dopo passo, un appiglio – avvisava un’altra scheggia – per potersi aggrappare e procedere nell’ascesa. E come l’alpinista sa bene, occorre sempre verificare che l’appiglio sia tal ch’ella ti reggia, che sia in grado di sostenerti, pena la rovina. Questo splendido passo della Commedia che egli regala alla moglie in uno dei momenti più bui della sua esistenza racchiude tutta la sua personalità e il segreto del suo “carisma”: un uomo con i piedi saldamente ancorati a terra e con lo sguardo rivolto in alto e lontano.