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Desidero rivolgere al Presidente Carlino, a nome mio personale e dei componenti tutti il Consiglio Nazionale Forense, i più sinceri auguri di buon lavoro. L’Anno giudiziario appena trascorso si è chiuso all’insegna della pandemia da Covid- 19 e quello che si apre oggi non può, purtroppo, ugualmente prescindervi, anche se tutti vogliamo e dobbiamo guardare al futuro con fiducia. L’impatto di quanto accaduto sull’attività della Corte dei conti – e segnatamente delle Sezioni giurisdizionali – si è tradotto non solo nei rinvii d’udienza durante la prima “ondata” e nell’organizzazione condizionata dalle misure di prevenzione della seconda, ma soprattutto nel mutare del quadro normativo di riferimento a seguito dell’emergenza sanitaria.
Molte delle numerosissime disposizioni dettate per far fronte alla grave crisi, in primo luogo sanitaria, ma anche economica e sociale, hanno riguardato la pubblica amministrazione, incidendo sulle responsabilità di chi per essa agisce, ricadenti nella giurisdizione contabile.
Si fa riferimento alle norme adottate nell’ambito delle misure di semplificazione per l’acquisto di dispositivi medici per fronteggiare l’epidemia da Covid- 19, che, ad esempio, hanno previsto che i relativi atti siano sottratti al controllo della Corte dei conti e che per gli stessi «la responsabilità contabile e amministrativa è comunque limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione».
Ancora, con il decreto legge 16 luglio 2020, numero 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito nella legge 11 settembre 2020, numero 120, si è ritenuto fosse necessario “liberare” il potenziale di investimento e di sviluppo degli interventi pubblici attraverso modifiche normative – a volte transitorie ed emergenziali, altre volte strutturali – che hanno riguardato anche la responsabilità amministrativa.
La responsabilità dei pubblici agenti e la riforma dell'abuso d'ufficio
In particolare, le disposizioni che prevedono una riduzione della responsabilità amministrativa, sia pure per un tempo limitato, riconducibile all’emergenza sanitaria, di cui al complessivo intervento normativo. La chiara volontà di restringere il perimetro della responsabilità dei pubblici agenti è presupposta, del resto, anche nella riforma del reato di abuso d’ufficio, contenuta nell’articolo 23 del medesimo decreto. A tal proposito già lo scorso anno, nella medesima occasione, prescindendo dall'impatto emotivo che l'emergenza sanitaria avrebbe provocato appena qualche settimana dopo, il Consiglio Nazionale Forense aveva auspicato «una serena riflessione sulla struttura del reato di abuso di ufficio, ritenendolo suscettibile di facili e prevedibili contestazioni e inadeguata sostenibilità, al punto da provocare gli effetti di certo non sani di un'amministrazione difensiva» che non poteva e non può non provocare conseguenze negative anche per la nostra economia.
La convinzione risiedeva e risiede nella constatazione che anche la mera prospettiva della sanzione blocca l’iniziativa di dipendenti e amministratori, impedendo interventi incisivi e tempestivi dell’Amministrazione. Interventi ora assolutamente necessari e utili se tempestivi. La condivisibile esigenza sembra emergere ora dalla norma emergenziale laddove intende favorire il più possibile, nel periodo dell’emergenza pandemica, l’intervento incisivo della pubblica amministrazione, attraverso una riduzione del rischio di responsabilità dei suoi agenti.
Questo indirizzo, occasionato dalla crisi epidemica, esigerà sicuramente valutazioni di sistema più ampie, ma conforta l'auspicata opportunità di una riflessione che anche per il “dopo pandemia” sappia trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di presa giurisdizionale e controllo statale, da un lato, e, dall’altro, le esigenze di efficienza e funzionalità delle decisioni pubbliche, oltre che di semplificazione dell’operato di chi entra in rapporto con l’amministrazione.
Il disegno di semplificazione
Il disegno di semplificazione avanzato dalle recenti disposizioni emerge anche in altre previsioni del medesimo decreto “semplificazioni”, dove si prefigurano responsabilità nel caso di mancato rispetto delle disposizioni tese ad accelerare la stipula dei contratti pubblici, nella già citata ottica di tempestivo intervento pubblico.
Nella realtà delle amministrazioni e dei giudizi, al di là delle chiare intenzioni del legislatore, non sarà semplice stabilire – non in via meramente teorica, ma in termini concreti – quando si sia di fronte ad un’azione e quando, invece, ad un’omissione o ad un’inerzia. Anche e soprattutto in questo caso il ruolo e la funzione di controllo della Corte dei conti sarà dirimente se riconosciuta, come dovrà essere riconosciuta, centrale rispetto a altre forme di verifica assimilabili ma evidentemente differenti.
Tutti noi, ma soprattutto i cittadini, avvertiamo da molto tempo la necessità di un ordinamento meno caotico, mutevole, non di rado incoerente; l'esigenza quanto mai attuale, reale, di uno Stato al servizio del cittadino: l’unica prospettiva che porterebbe ad una effettiva riduzione del timore della responsabilità e dell’efficienza nell’amministrazione che se paralizzata rischia di creare danni irreversibili anche all'economia già fortemente depressa di questo Paese.
Le perplessità sulla paventata applicabilità agli Ordini professionali della disciplina propria delle società pubbliche
Da ultimo, mi sia consentito fare un cenno ad una questione che attiene sempre alle funzioni della Corte dei conti, anche se con riferimento a quelle di controllo. Mi riferisco alla paventata applicabilità agli Ordini professionali della disciplina propria delle società pubbliche. Si tratta di un’assimilazione degli Ordini al resto del comparto pubblico che suscita qualche perplessità.
La ragione invocata dell’assimilazione è che le normative genericamente rivolte al comparto pubblico, piuttosto che delimitare precisamente il proprio campo di applicazione in funzione degli obiettivi e della ratio del singolo intervento legislativo, si limitano per lo più a richiamare l’articolo 1, comma 2, d. lgsl. n. 165/ 2001 ( T. U. pubbl. imp.), fonte che contiene un elenco del settore pubblico in origine pensato solo per l’applicazione delle disposizioni in tema di pubblico impiego, e che contempla anche gli enti pubblici non economici.
Il carattere mutevole e cangiante della nozione di ente pubblico e l’estensione variabile del suo perimetro definitorio, che di volta in volta varia a seconda dell’istituto, o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio sottesa alla disciplina che individua gli enti pubblici tra i propri destinatari, potrebbero rendere tale richiamo non sufficiente.
In effetti gli Ordini professionali sono sì enti pubblici, ma esponenziali di comunità professionali. Sono enti pubblici a carattere associativo, come recita la legge forense, e non possono essere assimilati a Ministeri, enti locali ed altre tipologie di istituzioni pubbliche completamente diverse, in quanto ricevono somme di denaro solamente da parte dei singoli iscritti e non gravano sulla fiscalità generale. Per la stessa ragione, infatti, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha escluso che gli Ordini professionali possano essere considerati organismi di diritto pubblico ai fini dell’applicazione della normativa sugli appalti pubblici. Il rischio da evitare, in ogni caso, è quello di compromettere l’autonomia di enti, che, a ben vedere, non sono altro che formazioni sociali protette dall’articolo 2 della Costituzione.
Nella ferma consapevolezza della centralità della funzione consultiva e di analisi della Corte dei conti e della necessità di rafforzarne il ruolo di supporto e di indirizzo per i cittadini come per la pubblica amministrazione, con questi auspici, l’Avvocatura italiana formula gli auguri più sentiti di un nuovo anno giudiziario proficuo ed operoso.