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Accusati di omicidio colposo otto agenti penitenziari e due medici del carcere romano di Regina Colei. Questa è la conclusione dell’inchiesta condotta dal pm Attilio Pisani per la morte di Valerio Guerrieri, suicidato a 21 anni il 24 febbraio dello scorso anno in una cella di Regina Coeli. La motivazione dell’accusa che rischia di rinviare a giudizio gli operatori penitenziari è concentrata sul tipo di sorveglianza effettuata a Valerio. I medici, secondo l’accusa, sarebbero colpevoli di programmare una sorveglianza non a vista, ma di accertamento ogni quarto d’ora; mentre gli agenti penitenziari colpevoli di aver effettuato un controllo blando. Per Guerrieri era stato disposto il regime di «grande sorveglianza», che presuppone controlli ogni 15 minuti, mentre più appropriato, data la perizia che recitava «alto rischio di togliersi la vita, attenzione psichiatrica maggiore possibile», sarebbe stata, secondo il pm, la sorveglianza speciale, ossia il detenuto andava tenuto costantemente a vista. Ma stiamo parlando di Valerio, un ragazzo che era illegittimamente trattenuto in carcere. Tant’è vero che il suo legale difensore Simona Filippi aveva presentato un esposto – poi archiviato dallo stesso pm – per identificare i responsabili della sua detenzione illegale. Parliamo di un ragazzo con problemi psichiatrici che sarebbe dovuto stare in una Rems, la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Il garante regionale Stefano Anastasìa, alla notizia della chiusura delle indagini e probabili rinvii a giudizio degli operatori penitenziari, ha commentato che la tale notizia «aiuta a non far cadere nel dimenticatoio quella tragica morte» , ma poi aggiunge: «Ciò detto, sorprende che il pubblico ministero abbia giudicato irrilevante il fatto che il ragazzo sia stato trattenuto in carcere per più di dieci giorni senza un titolo legittimo di detenzione. Valerio, infatti, al momento del decesso avrebbe dovuto essere sottoposto a una misura di sicurezza, ma né alla custodia cautelare, né a una pena detenti- va, unici titoli legittimi di tratte-nimento in carcere. Il quesito principale dunque resta questo: a che titolo era trattenuto in carcere? Perché, quando è venuta meno la custodia cautelare per cui era entrato a Regina coeli, non è stato liberato? E perché tanti altri come lui, persone con problemi di salute mentale, ma né condannati né sottoposti a custodia cau- telare, continuano a essere trattenuti in carcere senza un titolo legittimo di detenzione?».
Casi come quelli di Valerio Guerrieri, infatti, non sono rari. Come già denunciò a Il Dubbio il garante regionale dei detenuti Stefano Anastasìa, «troppi internati non realmente pericolosi affollano le Rems e alimentano le liste d’attesa, fino all’abuso del trattenimento senza titolo in carcere». Forse per il caso Guerrieri fa più comodo procedere contro la mancata sorveglianza in carcere, anziché aprire un procedimento sull’illegittima detenzione. In quest’ultimo caso si aprirebbe un vaso di pandora che coinvolgerebbe diversi fattori: dai magistrati che abusano troppo del ricovero nelle Rems, invece che predisporre percorsi di terapia alternativi con i servizi sanitari e sociali del territorio, all’inerzia dei servizi territoriali stessi fino al sequestro in carcere di persone che legalmente non ci dovrebbero assolutamente stare. Ma la responsabilità qualcuno se la deve pur prendere, affinché si evitino altre tragedie come quelle che hanno riguardato Valerio.