Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Partito democratico, con un'interrogazione parlamentare, ha chiesto al Ministro della Giustizia spiegazioni sull’inadempienza riguardo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2024. Questa sentenza ha dichiarato illegittimo l’articolo 18, comma 3, della legge sull’ordinamento penitenziario nella parte in cui non consente colloqui intimi tra i detenuti e i loro partner senza il controllo visivo del personale di custodia, salvo motivi di sicurezza, disciplina o ragioni giudiziarie ostative.

L’interrogazione traccia un quadro drammatico del sistema penitenziario italiano, evidenziando problemi profondi e diffusi: sovraffollamento, carenza di personale, strutture inadeguate, criticità nell’assistenza sanitaria e scarsità di risorse economiche. Questi elementi non rappresentano solo questioni amministrative, ma minacciano direttamente le finalità rieducative e risocializzanti della pena, sancite dall’articolo 27 della Costituzione. Il rischio è quello di trasformare la detenzione da percorso di recupero a mera punizione, compromettendo le prospettive di reinserimento sociale dei detenuti.

Il punto centrale dell’interrogazione riguarda il mancato adeguamento alla pronuncia della Consulta, che di fatto compromette i diritti fondamentali dei detenuti e la funzione rieducativa della pena, in palese violazione dell’articolo 27 della Costituzione. La decisione della Corte introduce una novità dirompente: i detenuti potranno svolgere colloqui con il coniuge o il partner senza il controllo visivo del personale di custodia, purché non vi siano ragioni di sicurezza.

La Consulta ha sottolineato come l’impossibilità di vivere una normale affettività rappresenti un grave vulnus per la persona detenuta. La “desertificazione affettiva” rischia di compromettere i legami familiari e personali, ostacolando il percorso di risocializzazione. Questa sentenza non è solo una questione giuridica, ma tocca aspetti profondi della dignità umana. La Corte riconosce che le relazioni affettive sono cruciali per il recupero personale, e che privarle dell’intimità può portare alla disgregazione dei legami familiari. Serracchiani ha quindi richiesto misure immediate per garantire i colloqui affettivi, sottolineando che la stessa Corte ha previsto una gradualità nell’attuazione per superare le difficoltà organizzative delle strutture penitenziarie.

LA RISPOSTA DEL MINISTRO

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nella risposta scritta, ha illustrato le attività intraprese dal suo dicastero. Ha sottolineato l’istituzione di un gruppo di studio multidisciplinare con il compito di elaborare una proposta operativa coerente con il sistema vigente. Tre i temi principali affrontati: l’individuazione degli spazi idonei ai colloqui, i criteri per l’accesso ai benefici e le garanzie di sicurezza. Tra le iniziative citate figurano il monitoraggio nazionale degli spazi penitenziari, collaborazioni con esperti e università per progettare aree dedicate ai colloqui intimi, e l’elaborazione di criteri di esclusione e accesso.

Il guardasigilli ha precisato che l’attuazione della sentenza deve conciliare il diritto all’affettività con la sicurezza interna e il mantenimento dell’ordine. Tuttavia, la risposta del ministro, sebbene dettagliata, non appare rassicurante. La creazione di un gruppo di studio e le attività descritte, pur apprezzabili, sembrano insufficienti rispetto all’urgenza della questione. Inoltre, manca una tempistica chiara per l’implementazione delle misure. La gradualità, per quanto comprensibile, rischia di trasformarsi in un pretesto per rimandare indefinitamente l’esercizio di diritti fondamentali.