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La mancanza di braccialetti elettronici da applicare ai detenuti ai quali vengono concessi gli arresti domiciliari sta diventando un’emergenza con conseguenze molto negative. A partire dall’ingiustificata permanenza in carcere. Sono diversi i casi di persone che, pur beneficiando da parte del giudice per le indagini preliminari di un provvedimento di sostituzione della misura cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, non possono lasciare l’istituto penitenziario ospitante perché non si riescono a reperire i dispositivi.
Una situazione che sta vivendo anche B.I.R., cittadina italiana di quasi sessant’anni che si trova attualmente nel carcere milanese di San Vittore. Nei suoi confronti vengono contestati alcuni reati contro il patrimonio. «La donna – evidenzia l’avvocata Federica Liparoti del Foro di Milano -, pur potendo essere ospitata nell’abitazione del padre, è costretta a restare in carcere. È passata più di una settimana da quando alla mia assistita sono stati concessi gli arresti domiciliari, ma è ancora detenuta a San Vittore perché pare non ci siano al momento braccialetti disponibili. Chi le restituirà questi giorni che avrebbe potuto trascorrere tra le mura domestiche nell’affetto dei suoi cari e che invece si trova a passare dietro le sbarre? Ormai la carenza di dispositivi risulta sistematica. Si parla spesso di sovraffollamento carcerario, ma si tiene in carcere chi avrebbe il diritto di tornare a casa».
Nel caso in questione, la donna è una impiegata accusata di reati contro il patrimonio e proviene da un contesto sociale di piena integrazione. «L'esperienza detentiva - spiega l’avvocata Liparoti - anche per tali motivi, è per la mia assistita particolarmente dura e destabilizzante».
Già in passato Federica Liparoti aveva denunciato la mancanza di braccialetti elettronici. L’ipotesi dell’ingiusta detenzione viene valutata seriamente dall’avvocata milanese. «Non è la prima volta – dice - che a un mio assistito vengono concessi i domiciliari e si trova costretto a restare in carcere giorni e giorni in attesa di un braccialetto. Seconde me, si tratta di una situazione non più tollerabile e a cui non ho intenzione di rassegnarmi. Il valore della libertà personale non può, a mio avviso, soccombere di fronte a "problemi tecnici" o "indisponibilità di dispositivi". Per questo motivo sto valutando la possibilità di chiedere i danni per ingiusta detenzione se la situazione dovesse ulteriormente protrarsi».
L’applicazione del dispositivo ha una sua utilità. «Il braccialetto elettronico – conclude Federica Liparoti - fornisce le stesse garanzie della detenzione in carcere. Al tempo stesso permette all’amministrazione penitenziaria di ottenere dei risparmi, visto che non si deve provvedere al sostentamento del detenuto ospite. Sarebbe quindi utile da parte del ministero della Giustizia e della società che si è giudicata la gara di appalto per la fornitura dei dispositivi fare tutti gli sforzi necessari per garantire maggiore rapidità nella messa a disposizione dei braccialetti elettronici. In questo modo si potrebbe davvero intervenire sulla questione del sovraffollamento carcerario e lasciare la custodia cautelare in carcere come extrema ratio, così come previsto dalla Costituzione».
A fare i conti con la mancanza di braccialetti elettronici non è solo la signora B.I.R. Analoga situazione la sta vivendo Jonathan Maldonado, accusato di tentato omicidio della moglie Siu, la influencer biellese ferita al petto e ricoverata nell’ospedale di Novara nei giorni scorsi. Il gip non ha convalidato il fermo di Maldonato e ha disposto nei suoi confronti l’obbligo di firma e il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico. Anche in questo caso non si trova nessun dispositivo per cui l’uomo deve restare ancora in cella. Le misure del divieto di avvicinamento alla persona offesa e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria sono state disposte, ha precisato la procuratrice Teresa Angela Camelio, «solo in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia».
Il braccialetto elettronico è stato introdotto in Italia nel 1998, con la Legge 230 del 1998 che ha previsto la possibilità di utilizzarlo come misura alternativa alla detenzione in carcere, limitando il sovraffollamento delle carceri ed offrendo una soluzione più adeguata per alcune categorie di detenuti. Viene indossato al polso o alla caviglia ed è dotato di un sistema di localizzazione satellitare, permettendo alle autorità di monitorare gli spostamenti dell'individuo al quale è applicato di stabilire se si trova all'interno della propria abitazione o al di fuori di essa. All’interno del braccialetto è collocato un sistema Gps che permette di determinare con precisione la posizione dell'individuo e di inviare queste informazioni a un centro di controllo.