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«L’attuale meccanismo di reclutamento dei magistrati è davvero idoneo a selezionare i ” migliori”? Credo sia questo il punto di partenza della discussione. Di certo sono contrario ai test psicologici». A dirlo è Edoardo Cilenti, già segretario dell’Associazione nazionale magistrati e attuale componente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, replicando alla proposta del ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno di prevedere una selezione psicoattitudinale per le toghe.
Consigliere, cosa non funziona nell’attuale sistema di reclutamento dei magistrati?
Occorre tornare alle riforme dei guardasigilli Castelli e Mastella che intendevano costruire, nelle intenzioni, un livello di preparazione più elevato. Da concorso di “primo grado”, aperto ai neo laureati, si passò a un concorso sostanzialmente di secondo grado, con i candidati che dovevano possedere dei titoli maturati in un percorso post universitario per essere ammessi alle prove. In precedenza l’accesso rappresentava un traguardo per una platea di aspiranti di età - mediamente compresa tra i 26 e i 28 anni. Oggi i candidati giungono al concorso in età più avanzata e senza la auspicata maggiore preparazione da conseguire presso le scuole di specializzazione, che sono diventate una zona di parcheggio con esborsi economici anche importanti.
Perché è contrario a chi entra in magistratura con qualche capello bianco?
Con il trascorrere del tempo ci si deve normalmente confrontare con problemi personali, di vita privata e familiare, che rendono meno efficace la dedizione nella formazione e la iniziale, necessaria, mobilità sul territorio. Il pericolo è quello di una minore predisposizione a cogliere la funzione intesa come un servizio da rendere alla collettività. I più brillanti scelgono altre strade.
E chi, invece, prima di diventare magistrato ha fatto un altro mestiere, anche nella stessa Pubblica amministrazione?
Si corre il rischio di trasferire nella funzione giudiziaria atteggiamenti mentali inappropriati, come una ridotta disponibilità a confrontarsi utilmente con i vertici degli uffici giudiziari. Ulteriore pericolo è quello della mentalità impiegatizia: guadagnato un posto rassicurante, si tende a stare lontani dalle assunzioni di responsabilità e ad evitare gli svantaggi della giurisdizione.
Che soluzioni propone?
Sarebbe molto più lineare e razionale tornare al concorso di primo grado, potenziando la successiva formazione per i vincitori. Consentire a tutti i laureati di accedere subito al concorso, senza distinzioni di classe sociale, permetterebbe loro di sapere, dopo un numero accettabile di anni - ossia il tempo dei tre concorsi previsti per legge -, se la loro strada è quella della magistratura o di un’altra, altrettanto dignitosa, professione.
La sua corrente, Magistratura indipendente, non è contraria in maniera preconcetta alle scuole di specializzazione. Funzionano?
Siamo certamente contrari ai test psicologici perché introducono il rischio di una omologazione secondo un modello precostituito di tipo soggettivo, con presunti esperti valutatori che potrebbero entrare finanche nel merito delle attitudini. Per chiudere il discorso è sufficiente pensare che li aveva già suggeriti Licio Gelli. Siamo invece favorevoli alla libera iniziativa, ma l’attività di preparazione al concorso è allo stato preclusa ai magistrati ordinari per effetto di una interpretazione restrittiva data dal Consiglio Superiore della magistratura. In ogni caso queste scuole o si riformano o si aboliscono. Salvo qualche distinguo e qualche merito, hanno fallito il loro compito, essendosi rivelato un errore continuare la didattica di stile universitario, che produce solo un eccesso di nozionismo.
Il ministro della Giustizia ha recentemente ampliato la pianta organica di 600 magistrati. Ci sarà un maxi concorso?
È una scelta organizzativa del Ministero. Ciò che serve è procedere a un lavoro di equilibrata distribuzione delle nuove risorse sul territorio dove vi è effettiva necessità.