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«Meglio sarebbe istituire un’Alta corte a cui affidare i procedimenti disciplinari di tutte le magistrature e di impugnazione dei provvedimenti consiliari. Ovvio che sarebbe necessaria una modifica della Costituzione, ma da qui a fine legislatura i tempi ci sarebbero, basterebbe che la politica, anziché inseguire risultati di bandiera, con più coraggio si concentrasse sui nodi problematici affrontandoli e risolvendoli». Lo ha evidenziato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, al congresso di Area democratica per la giustizia, di fatto accogliendo l'idea lanciata da diversi giuristi e dall'ex presidente della Commissione Giustizia alla Camera Gaetano Pecorella. «È evidente che quando parlo di trasferire la funzione disciplinare fuori dal Consiglio non mi riferisco all’incapacità del Csm di svolgere correttamente il proprio compito», ha spiegato Ermini, ricordando che «la nostra sezione disciplinare vanta del resto oltre il 70 per cento di conferme da parte delle sezioni unite della Cassazione», ma «alla possibilità di evitare situazioni di sovrapposizione funzionale tra amministrazione e giurisdizione e, come dicevo, per avere una unicità di giudizi disciplinari per le varie magistratura». Ermini ha inoltre evidenziato che «nessuno può pretendere dai consiglieri obbedienza, tantomeno dal vicepresidente, che risponde solo alla Costituzione e al suo garante che è il presidente della Repubblica. Nei tre sostantivi - autogoverno, riforme e rifondazione etica - sta il fragile e drammatico presente vissuto da magistratura e Consiglio superiore - ha esordito - oltre al necessario impulso prospettico per uscire da una crisi di fiducia e credibilità che forse ha pochi precedenti». Ermini non ha nascosto l'amarezza di fronte ai «toni aggressivi e denigratori che, quasi quotidianamente, investono la magistratura e l'organo consiliare. Ma ciò non toglie che con gli scandali e le difficoltà del presente i conti si debbano fare. Con umiltà e onestà, e al contempo con coraggio». Ermini ha poi elogiato i magistrati che lavorano nei tribunali senza il clamore dei media, mentre ai colleghi che siedono nel Csm ha ricordato che «chi è eletto al Consiglio non risponde a rapporti fiduciari ma alla Costituzione». Ma in un punto è netto. «I magistrati devono restare estranei al dibattito politico-partitico - ha sottolineato - però hanno il dovere di partecipare, anche criticamente, al discorso pubblico sulla giustizia, la loro interlocuzione deve però rimanere misurata, tecnicamente orientata, argomentata». Anche il numero due del Csm ha criticato il carrierismo, come prima di alcuni relatori intervenuti alla due giorni. «Quello del magistrato non è e non può essere un ruolo di potere ma una funzione al servizio dei cittadini» ha concluso, mentre sulle riforme ha chiosato «questo il Csm chiede con forza che il governo provveda destinando le risorse necessarie per far funzionare le riforme messe in campo, a partire dall'effettiva copertura della pianta organica».