PHOTO
Cartabia
Litigare sulla giustizia mediatica era inevitabile. È il crocevia in cui si avvita da una trentina d’anni la democrazia italiana. Figurarsi se il decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza avrebbe mai potuto ottenere un’indicazione unitaria, con una maggioranza che va da Forza Italia ai 5 Stelle. E infatti il voto relativo al parere che la commissione Giustizia di Montecitorio deve esprimere sul decreto slitta di un’altra settimana. Era previsto per ieri: il governo, rappresentato dal sottosegretario Francesco Paolo Sisto, ha concesso tempo fino al 20 ottobre. Motivo: maggioranza spaccata. In modo vistoso e pure allarmante. Da una parte l’intero fronte cosiddetto garantista, più Fratelli d’Italia: dunque l’intero centrodestra con Azione e Italia viva, che intendono votare per la bozza preparata dal relatore Enrico Costa, in cui si sollecita il governo a impedire in assoluto le conferenze stampa, dei procuratori capo come della polizia giudiziaria. Dall’altra parte la vecchia maggioranza giallorossa, senza Italia viva, cioè Pd e Movimento 5 Stelle, che invece non ritengono di andare oltre il testo messo a punto da Marta Cartabia e varato in Consiglio dei ministri. E anzi, i pentastellati sono convinti di compiere già un grande sacrificio, a mandare giù la versione presentata dalla guardasigilli: il loro deputato Vittorio Ferraresi avrebbe voluto non solo rendere libere le conferenze stampa dei procuratori, che invece potranno convocare i cronisti solo “nei casi di particolare rilevanza pubblica”, ma anche eliminare i limiti che il provvedimento impone alle ordinanze dei gip, non più corredabili con espressioni già “conclusive” rispetto alla colpevolezza dell’indagato. Aspetto, quello relativo agli atti formali, previsto d’altronde dalla stessa direttiva Ue da cui ha tratto origine il decreto attuativo. Si dirà: è un parere non vincolante, come per tutti i decreti legislativi. Si spaccassero pure, tanto nessuno obbliga Cartabia ad assecondare le correzioni di Costa e a mandare su tutte le furie Bonafede, con annesse difficoltà per i dem. E invece le cose non stanno così perché, come filtra da via Arenula, la guardasigilli non ha alcuna voglia di lasciarsi impallinare, né dai garantisti né dai giustizialisti. Adesso come adesso, d’altra parte, quello sembra il suo destino: se vince la linea Costa — che ieri avrebbe avuto i numeri ma si è arenata sul rinvio deciso dal presidente della commissione, il 5S Mario Perantoni — ignorare il parere sarebbe pesante, per una questione di rapporti istituzionali, oltre che col fronte garantista. Ma se la ministra accettasse le modifiche chieste dal relatore, si aprirebbe un problema serissimo con i grillini, e di fatto pure col Pd. «Credo che l’autoproclamato fronte garantista», dice al Dubbio il dem Alfredo Bazoli, «dovrebbe chiarire le proprie intenzioni: ragionano sempre con la logica del più uno, cioè spostano sempre un po’ più in alto l’asticella, a costo di rompere la maggioranza o proprio con l’obiettivo di farla saltare? Perché se fosse vera la seconda ipotesi», attacca il capogruppo Pd in commissione Giustizia, «noi non ci stiamo». Ecco insomma perché i dem hanno scelto di schierarsi coi 5 Stelle sul «sì puro» al testo del governo. «È un grande passo avanti, introduce novità, nell’informazione giudiziaria, molto rilevanti, opportune, che pongono rimedio», aggiunge Bazoli, «a storture evidenti del nostro sistema. Ad esempio vengono eliminate le conferenze stampa convocate liberamente dal singolo sostituto o dalla polizia». Dal punto di vista del centrodestra, Italia viva e Azione, è però comunque pericoloso che carabinieri o poliziotti possano chiamare a raccolta i media se autorizzati dal vertice della Procura. Ma sarebbe ipotizzabile un punto d’incontro su una bozza Costa limitata a escludere ipotesi del genere, e a rafforzare magari il diritto al silenzio (che, per il relatore, richiederebbe di eliminare conseguenze negative, a carico dell’imputato, su sentenze o ristori per ingiusta detenzione)? Sul punto Bazoli replica: «Siamo sempre disponibili a mediazioni positive che però avvengano in uno spirito unitario e con la condivisione del governo. Non è possibile mettere a rischio la maggioranza per un parere non vincolante su un decreto». Di tenore non troppo diverso la dichiarazione di Anna Rossomando, che nel Pd è responsabile Giustizia: «Il solito giochino di Costa rischia di demolire i risultati che tutta la maggioranza aveva contribuito a raggiungere e il punto di equilibrio decisamente avanzato trovato dalla ministra Cartabia». Costa ovviamente la pensa in tutt’altro modo: «Ho presentato una proposta di parere finalizzato a evitare la spettacolarizzazione delle inchieste, la diffusione di atti di indagini, il palcoscenico mediatico per i pm. Il Pd», controbatte il responsabile Giustizia di Azione, «aveva una grande occasione, e aveva di fronte un bivio tra una scelta liberale e la chiusura pentastellata: ha deciso di schierarsi con Bonafede e company perché il merito non conta più, conta solo non scontentare il partito di Grillo. Poiché non avevano i numeri non ci hanno consentito di votare. Hanno fatto ostruzionismo e, consapevoli che avrebbero perso, hanno rinviato la seduta». Va detto che il governo ha concesso senza problemi la settimana di proroga. Certo, non è detto che basti. E che la ferita politica evitata sul ddl penale resti invece incisa per via di un insospettabile parere non vincolante a un decreto legislativo.