Domani i lavori parlamentari alla Camera riprenderanno con l’esame del ddl Sicurezza. Non sarà una discussione serena perché ci eravamo lasciati ad agosto con un durissimo braccio di ferro tra maggioranza e opposizioni sia sul merito del provvedimento che sul metodo di trattazione nelle commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia, con sedute notturne di dodici ore e meno di un minuto concesso a Pd, M5S, Avs per dibattere.

Alla fine i partiti avevano trovato comunque un'intesa nella capigruppo della Camera dalla quale era emersa l'indicazione di far slittare dal 5 agosto a dopo la pausa estiva l'approdo in aula del Ddl sicurezza. A questo quadro si aggiunge il fatto che nonostante precedenti accordi con la maggioranza Forza Italia ha annunciato di aver presentato un emendamento, rispetto al testo che arriva nell'emiciclo, che ripristina il differimento obbligatorio della pena per le madri di bambini neonati (di età compresa tra gli zero e i 12 mesi), in modo che nessun bambino debba passare i primi mesi dietro le sbarre. Mentre Lega e Fratelli d’Italia puntano a rendere facoltativo il differimento per madri di bambini fino a 3 anni.

«Vogliamo dare un segnale sul tema carceri», fanno sapere più parlamentari azzurri. Questo emendamento era stato annunciato ad inizio luglio dal deputato della Commissione Affari Costituzionali Paolo Emilio Russo, molto vicino a Silvio Berlusconi, nel giorno in cui Forza Italia decise di non votare sugli emendamenti sulle detenuti madri: vogliamo «scongiurare che anche solo un bambino sia costretto a crescere dietro le sbarre per colpe della madre» disse allora. Dunque dopo lo ius scholae un nuovo strappo dei forzisti con la maggioranza.

A dare battaglia sul tema sarà sicuramente il Pd. Nel pomeriggio ad intervenire in Aula sarà la dem Michela Di Biase, membro della Commissione giustizia che al Dubbio dice: «Con la norma sulle detenute madri contenuta all’art. 12 del ddl Sicurezza si mette in discussione lo stato di diritto liberale. L’abolizione di un principio sacrosanto come la sospensione della pena per le detenute madri con figli minori di un anno è inaccettabile, perché mette in discussione un diritto fondamentale e vìola l’interesse superiore del minore, così come riconosciuto dalla Convenzione Onu. Una norma che nasconde un chiaro obiettivo ideologico, perché siamo davanti al primo caso nella storia repubblicana di una legge pensata per colpire un’etnia».

Tutto, infatti, avrebbe avuto origine da un caso raccontato dal Gazzettino nel luglio 2023 e che trova il copia e incolla in molte vicende verificatesi anche nella capitale: «È la regina delle borseggiatrici di Venezia: origini rom, 27 anni, e una infinita sequela di colpi inanellati tra calli e imbarcaderi nella sua lunga carriera criminale. Fantasma imprendibile? Lupin in gonnella? Macchè. La maga che fa sparire i portafogli dei turisti è un volto notissimo, in particolare tra le forze dell’ordine: arrestata decine di volte e condannata altrettante in via definitiva. La giovane ladra, infatti, tra i vari cumuli di pena, deve scontare un totale di 30 anni di carcere. E perché quindi è ancora libera e soprattutto operativa sul campo? Perché è incinta per la nona volta. Di fatto la legge impedisce la carcerazione almeno fino al compimento del primo anno del bambino».

Tornando alla discussione politica la parlamentare dem ha ricordato come su questo punto «è emersa con evidenza la spaccatura tra Forza Italia e gli altri partiti di maggioranza, ci auguriamo che in Aula i parlamentari azzurri possano condividerne l’abrogazione». Ormai la partita è aperta. Bisogna capire se FI non si tirerà indietro come già avvenuto con il ddl Giachetti. Sul punto conclude la Di Biase: «siamo davanti a una norma irragionevole, non ci sono altre parole. Il principio dovrebbe essere sacrosanto: non è il carcere il luogo in cui far crescere i minori. A nulla però sono valsi i nostri appelli, ripetuti anche in occasione di altri provvedimenti, per ribaltare la linea del Governo e lavorare per migliorare le misure alternative alla detenzione in carcere. Pensate alle esperienze positive delle case famiglia protette, progetti virtuosi che però il Ministro Nordio e l’esecutivo continuano ad ignorare».

Altro tema che ha raccolto la contrarietà dell’opposizione, concerne la resistenza passiva negli istituti di pena. «L’introduzione del delitto di rivolta penitenziaria sovverte i principi con cui è stato pensato e costruito il nostro ordinamento penitenziario» ci dice sempre la deputata di Biase. «Le norme contro la rivolta passiva nelle carceri e nei Cpr hanno lo scopo di costruire un modello delle condizioni di detenzione che getta il Paese indietro di cento anni. Questo provvedimento ci fa tornare al codice Rocco, durante il ventennio fascista, che imponeva l’obbligo di obbedienza per i detenuti. Ma la protesta pacifica, utilizzata negli anni per attirare l'attenzione su problematiche di diversa gravità, non può essere trattata alla stregua di quella violenta».

Così facendo alle persone detenute, conclude la dem, «rimarrà solo il proprio corpo come strumento per denunciare il proprio malessere e guardando ai numeri drammatici sull’aumento di gesti di autolesionismo e suicidi si comprende a quali drammatiche conseguenze potranno portare queste nuove norme».