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Diverse ex caserme verranno convertite in carcere, alcune ex carceri verranno invece convertite in centri di permanenza e rimpatri ( cpr).
È il caso della Sardegna, in particolare l’ex carcere di massima sicurezza di Macomer. La struttura, finiti i lavori di sistemazione, dovrebbe ospitare un centinaio di “ospiti”, anche se, forse, bisognerebbe scrivere “detenuti”, perché di fatto lo sono, anche se non hanno commesso nessun reato. Infatti si parla di “detenzione amministrativa”. Secondo le direttive del ministero dell’Interno, già quest’anno dovrebbe entrare in funzione per una cinquantina di migranti. “I bandi di gestione sono già stati emessi – ha spiegato Francesca Mazzuzi, referente per la campagna LasciateCIEntrare dell’isola -. Nelle intenzioni del ministro Matteo Salvini, come di chi l’ha preceduto e degli amministratori regionali e locali, questo dovrebbe fungere da deterrente per chi sbarca in Sardegna lungo la rotta algerina ma sappiamo bene che non ci sono deterrenti che reggono per chi non ha alternative a quella di scappare da fame e guerre e per chi, come gli algerini, desidera fortemente un futuro migliore. Proprio come è stato per i Cie, questa struttura non servirà a nulla se non a raccattare facili consensi in campagna elettorale ed a calpestare i diritti di chi ha già sofferto troppo”.
L’ex carcere di Macomer era stato chiuso proprio perché non rispondeva ai parametri minimi di legge previsti per la detenzione. Celle strettissime, compresi gli spazi interni. Già l’anno scorso era nel programma di convertirlo, ma il bando era stato revocato dalla Prefettura di Nuoro visto che era saltato l’accordo con la Regione, gli Enti Locali e il Ministero dell’interno.
Quest’anno invece ci si riprova.
Sette ditte hanno concorso e tra queste compare anche quella che aveva gestito il Cara di Mineo, a suo tempo molto contestato per la gestione.
I Cpr, ricordiamo, servono per ospitare gli immigrati in attesa di essere rimpatriati pur non avendo commesso alcun reato che ne permetta la custodia. Tutto ha origine dalla legge del 1998, detta la Turco – Napolitano, la quale ha stabilito la realizzazione di Cpt ( Centri di Permanenza Temporanea) in cui le persone potevano essere trattenute per un periodo massimo di 30 giorni.
L’esperienza si dimostrò sin dall’inizio a dir poco problematica: nei centri finirono soprattutto ex detenuti e persone che non sono poste in condizione di regolarizzare la propria posizione. Le stesse strutture ( ex ospizi, caserme dismesse, container etc…) si dimostrarono inadatte a garantire condizioni di vita decenti. Da subito diventano teatro di rivolte, di fuga, di atti di autolesionismo in alcuni casi con esito tragico. Già da allora anche la gestione dei centri risente di numerosi aspetti critici: la sorveglianza esterna viene affidata alle forze dell’ordine e la responsabilità affidata alle locali prefetture, la gestione a enti privati che ottengono l’appalto con gare a trattativa privata gestite dalle prefetture competenti.
Dopo una parziale messa in discussione delle politiche fallimentari di detenzione e una sensibile diminuzione dei giorni di trattenimento ( a ottobre del 2014, un emendamento dei senatori Manconi e Lo Giudice ha consentito la riduzione del periodo massimo di trattenimento degli stranieri all’interno dei CIE a novanta giorni) e del numero dei centri, le recenti e nuove disposizioni della legge Minniti- Orlando, - riprese dal ministro dell’Interno Salvini –, vanno in tutt’altra direzione: prevedono la riapertura dei centri chiusi, portandoli a uno per regione. Oltre all’incremento del tempo di trattenimento che vanno da 90 a 180 giorni.