Richiesto il rinvio a giudizio per 107 persone per le
violenze avvenute il 6 aprile del 2020 nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere, nello specifico parliamo degli agenti della polizia penitenziaria e funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap). La richiesta è avvenuta nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Pasquale D’Angelo. Per un altro agente coinvolto è stato richiesto poi il proscioglimento, che si aggiunge ad altre dodici analoghe richieste avanzate dalla Procura alcuni mesi fa (in totale erano 120 gli indagati). Ricordiamo che
per 12 agenti era contestato il reato di cooperazione in omicidio colposo relativo alla morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto per giorni in isolamento. Proprio per quest’ultimo caso inizialmente la Procura aveva scelto di contestare il reato di “morte come conseguenza di altro reato“, bocciato dal Gip Sergio Enea che la classificò come suicidio. La decisione del Gip è stata però impugnata dalla Procura che ha provveduto a integrare il quadro accusatorio.
Sono accusati di tortura, lesioni e falso
Per gli agenti e funzionai ai quali la procura sammaritana ha chiesto il rinvio a giudizio, le accuse sono a vario titolo di tortura, lesioni, reati di falso. Ricordiamo che, secondo quanto accertato sulla base delle
immagini acquisite dal sistema di videosorveglianza del carcere, nonché dalle chat tra gli agenti di polizia penitenziaria e dalle dichiarazioni dei detenuti, il pomeriggio del 6 aprile 2020, tra ore 15.30 e le 19.30, all’interno del reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, numerosi agenti di Polizia penitenziaria – giunti anche dalle carceri di Secondigliano e di Avellino – hanno esercitato una
violenza cieca ai danni di detenuti che, in piccoli gruppi o singolarmente, si muovevano in esecuzione degli ordini di spostarsi, di inginocchiarsi, di mettersi con la faccia al muro. I detenuti, costretti ad attraversare il cosiddetto corridoio umano (la fila di agenti che impone ai detenuti il passaggio e nel contempo li picchia), venivano colpiti violentemente con i manganelli, o con calci, schiaffi e pugni; violenza che veniva esercitata addirittura su uomini immobilizzati, o affetti da patologie ed aiutati negli spostamenti da altri detenuti, e addirittura non deambulanti.
Tra le immagini più crude fecero scandalo quelle del detenuto sulla sedia a rotelle picchiato con il manganello, e dei detenuti fatti passare in un corridoio formato da agenti che li prendevano a manganellate, o a calci e pugni.
Nelle quattro ore di mattanza umiliazioni degradanti
Oltre alle violenze, venivano imposte umiliazioni degradanti – far bere l’acqua prelevata dal water, sputi, ecc. -, che inducevano nei detenuti reazioni emotive particolarmente intense, come il pianto, il tremore, lo svenimento, l’incontinenza urinaria. Dopo le quattro ore di “mattanza”,
le sofferenze fisiche e psicologiche venivano perpetrate anche nei giorni immediatamente successivi, in particolare nei confronti dei quattordici detenuti trasferiti dal reparto Nilo al reparto Danubio – perché ritenuti ispiratori della protesta del 5 aprile -, costretti senza cibo, e, per 5 giorni, senza biancheria da letto e da bagno, senza ricambio di biancheria personale, senza possibilità di fare colloqui con i familiari; tant’è che alcuni detenuti indossavano ancora la maglietta sporca di sangue, e, per il freddo patito di notte, per la mancanza di coperte e di indumenti, erano stati costretti a dormire abbracciati; anche ai detenuti rimasti al reparto Nilo veniva riservato un trattamento degradante, addirittura con l’imposizione, volutamente mortificante della capacità di autodeterminazione, del taglio della barba, secondo quanto orgogliosamente rivendicato in uno dei messaggi inviati sulla chat del gruppo di agenti di Polizia penitenziaria.
Arrivarono agenti da altri istituti che non sono stati ancora identificati
Quel giorno, ribadiamo, arrivarono anche oltre cento agenti da altri istituti di pena come Secondigliano, inviati dal direttore del Dap Antonio Fullone, i quali
non sono stati ancora identificati a causa dei caschi e delle mascherine che indossavano in quella circostanza. In totale i detenuti vittime dei pestaggi sono stati 177, tanto che la Procura, per avvisare tutte le parti offese, ha deciso di ricorrere alla notificazione per pubblici annunci, con deposito dell’avviso di conclusione indagini presso il Comune di Santa Maria Capua Vetere e con la pubblicazione di un estratto sulla Gazzetta Ufficiale. «È nostro dovere riflettere sulla contingenza ma anche sulle cause profonde che hanno portato un anno fa ad un uso così insensato e smisurato della forza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Fatti di questa portata richiedono da un lato una risposta immediata da parte dell’autorità giudiziaria, ma ai miei occhi sono spia di qualcosa che non va e dobbiamo indagare e intervenire con azioni ampie e di lungo periodo perché non accada più». A dirlo è stata la
ministra della Giustizia Marta Cartabia a luglio del 2021, nel corso dell’informativa urgente alla Camera sui fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. «
Fatti di quella portata reclamano un’indagine ampia perché si conosca quanto è successo in tutti gli istituti penitenziari nell’ultimo drammatico anno, dove la pandemia ha esasperato tutti, perché le carceri italiane già vivono in condizioni difficili per il sovraffollamento, per la fatiscenza delle strutture, per la carenza del personale e per tante altre ragioni – ha proseguito -. Dunque occorre guardare in faccia i problemi cronici dei nostri istituti penitenziari affinché non si ripetano più atti di violenza né contro i detenuti né contro gli agenti della polizia penitenziaria e tutto il resto del personale. Il carcere è specchio della nostra società ed è un pezzo di Repubblica che non possiamo rimuovere dal nostro sguardo e dalle nostre coscienze», aveva affermato sempre la guardasigilli tra gli applausi dell’aula.
È aperto un fascicolo per le violenze nel carcere di Modena
In quell’occasione, la ministra Cartabia ha annunciato di avere «costituito al Dap una commissione ispettiva che visiterà tutte le carceri interessate dalle proteste». Va infatti ribadito che non è solo il carcere di Santa Maria Capua Vetere ad essere attenzionato. Come ha riportato
Il Dubbio,
ci sono altre carceri dove sarebbero avvenuti dei pestaggi. Attualmente è aperto un fascicolo che riguarda il carcere di Modena. Dalle testimonianze raccolte dalla procura, emerge che diversi detenuti sarebbero stati ammassati in una stanza vengono obbligati con lo sguardo a terra, alcuni sarebbero stati denudati con la scusa della perquisizione, e via a una violenta scarica di manganellate e ceffoni. Emerge un vero e proprio massacro che ha luogo in un locale situato in un casermone attiguo al carcere di Modena, prosegue durante il viaggio notturno in pullman e non si esaurisce quando i detenuti giungono al penitenziario di Ascoli Piceno.
Tanti di quei reclusi denudati e picchiati nel casermone dell’istituto carcerario Sant’Anna di Modena erano già in stato di alterazione dovuto da mega dosi di metadone assunte durante la rivolta dell’8 marzo 2020. Sono soprattutto reclusi stranieri a essere stati picchiati, tanti di loro – com’è detto -, in stato di incoscienza dovuto dall’assunzione elevata dose di droga e psicofarmaci. Ma tra loro c’era anche Salvatore Piscitelli, l’uomo che in seguito – trasferito nella notte al carcere di Ascoli Piceno assieme agli altri – morirà dopo essere stato trasportato di urgenza in ospedale con un oggettivo ritardo rispetto alla richiesta di aiuto da parte dei suoi compagni di cella. Come già riportato da Il Dubbio, la procura di Ascoli Piceno ha presentato la richiesta di archiviazione. L’associazione Antigone, tramite l’avvocata Simona Filippi, ha avanzato opposizione.