Luciano Violante torna a parlare della giustizia, dedicando un’attenzione particolare al mondo delle procure che, a suo dire, non devono condizionare la politica giudiziaria del Paese, ma individuare e punire i reati e non scrivere la storia. Sono questi gli argomenti trattati nell’intervista pubblicata oggi da “Il Giornale”, edito dalla famiglia Berlusconi. Nel corso della “chiacchierata” con Stefano Zurlo, l’ex presidente della Camera dei Deputati ha ripercorso la sua carriera di magistrato. «Condannammo un tizio a 7 anni. E io chiesi agli altri autorevoli colleghi: "Ma sette anni di che cosa? Mi guardarono più o meno come un marziano. Ma io avevo fatto il volontario nelle carceri, conoscevo il sistema e intendevo dire una cosa elementare: sette anni di pena possono essere faticosi ma sopportabili, oppure drammatici, quasi insostenibili se per esempio finisci nella prigione dove le celle sono sovraffollata e manca l'acqua corrente. Ecco, io credo che nella magistratura, di cui ho fatto parte fino al 1981 quando mi sono dimesso perché ero diventato parlamentare, manchi talvolta questa attenzione agli altri, a tutti gli altri». E spiega a chi si riferisce: «A tutti. Agli imputati. Agli avvocati. Ai testimoni. Se posso usare una parola semplice e profonda, direi che a volte manca il rispetto». Inoltre, per Luciano Violante i giudici si sentono "superiori" al cittadino. «Se ci fa caso, quando entra in un tribunale lei sale le scale. Vuol dire che i giudici sono più in alto del cittadino e a volte si ergono sul piedistallo della loro superiorità, qualche volta perfino su quello dell'arroganza» ed elenca tre passaggi chiave che hanno portato al degrado morale ed etico della magistratura. «Ci sono stati tre passaggi nella storia recente della magistratura, che mostrano una evoluzione preoccupante».
I guai della magistratura italiana
Il primo: «La difesa dell'indipendenza della magistratura, a partire dagli anni Sessanta. È stata una battaglia sacrosanta, perché il potere politico e quello economico cercavano di condizionare la magistratura. Così le toghe hanno affermato la propria autonomia rispetto agli altri poteri, ma a questo punto non ci si è più fermati». Il secondo: «Appunto: l'autogoverno. Che non è scritto da nessuna parte, tantomeno nella Costituzione, e invece i giudici hanno cominciato a riempire tutte le caselle del Csm e del ministero e a decidere la politica giudiziaria». Il terzo: «L'autoreferenzialità, ovvero Il concepirsi come una parte dello Stato per la quale non valgono le regole che invece la magistratura richiede agli altri. E infatti l'approdo è quello di un corpo separato dello Stato che in qualche modo afferma: "Io sono il guardiano della purezza, io sono il guardiano della trasparenza, nessuno può venire in casa mia a contestarmi qualcosa. Penso ad alcune circolari del Csm "svuotative" delle leggi”».
La trattativa Stato-mafia
Sulla trattativa Stato-mafia dice la sua: «Pensiamo alla trattativa Stato-mafia. È sacrosanto punire i colpevoli, se tali sono, non pretendere di riscrivere la storia. Il magistrato punisce chi ha sbagliato, non ha altri compiti». E non solo: «Alcuni sono stati accecati da una sorta di hybris, qualcosa che sta fra l'orgoglio, la superbia, la tracotanza, talvolta l'arroganza. Naturalmente, parliamo di minoranze ma sono minoranze che grazie all'intreccio con la comunicazione, creano una opinione: prima c'era la percezione si trattasse di un mondo di eroi, oggi prevale la diffidenza. E dobbiamo fare di tutto per superare questa immagine negativa perché la magistratura è fondamentale per il buon funzionamento di una democrazia».
Sulla riforma Cartabia
«Mi pare un buon inizio perché ha un'idea di cosa sia il processo, ci sono innovazioni interessanti». Una fra le altre? «La scelta di dare al giudice che emette la sentenza il potere di determinare la pena in concreto. Prima questa fase era affidata alla magistratura di sorveglianza, in un secondo momento, ora si anticipa: il giudice ha a disposizione diverse sanzioni, non solo il carcere, e questo accresce la sua responsabilità, lo costringe ad entrare nel concreto di quella situazione».
La prescrizione secondo Luciano Violante
Violante, tuttavia, parla anche della prescrizione. «Mi pare si sia fatto un passo in avanti. I processi non possono durare troppo a lungo e anche su questo versante si devono studiare attentamente le cause dei ritardi: come mai con le stesse leggi ci sono distretti di corte d'appello in cui i tempi della giustizia sono accettabili e altri in cui sono intollerabili?», mentre sull’improcedibilità afferma che «È una soluzione di mediazione fra le diverse posizioni; i 5 Stelle altrimenti non l'avrebbero votata; per il momento va bene. Infine ci sono altri due snodi che vanno affrontati al più presto: i magistrati funzionari del Csm e le modalità del processo disciplinare».
Il Csm e l’Alta Corte
«I funzionari sono magistrati e sono stati fatalmente chiamati perché legati a questa o quella corrente. Questa liaison deve finire: i funzionari devono essere professionisti selezionati con concorso pubblico, come i funzionari parlamentari». La Disciplinare? «È bene che rimanga dov'è per il primo grado. E solo in quello». In appello? «Dobbiamo creare un'Alta corte. I membri potrebbero essere nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dalla magistratura e per un terzo dal Parlamento». «Quest'Alta corte, a mio parere, dovrebbe occuparsi anche delle controversie sulle nomine e più in generale delle querelle amministrative che oggi ingolfano i Tar. Non solo: oggi il Csm decide, che so, la nomina del procuratore della repubblica di Milano in un'udienza pubblica, trasmessa integralmente da Radio Radicale, che è una finzione come dimostra il libro di Luca Palamara. Il modello non deve essere quello del Parlamento che si riunisce in seduta pubblica, ma quello del Cda di un ministero che discute e decide in modo riservato. La riservatezza è spesso un valore; la pubblicità a volte è una ipocrisia».