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Avvocatura decisiva per riportare fra i cittadini la fiducia nella giustizia
Nella sessione inaugurale del trentacinquesimo Congresso nazionale forense ampio spazio è stato affidato a chi, con ruoli diversi, svolge un ruolo preminente nell’avvocatura. Nel teatro Politeama, gremito di delegati provenienti da tutta Italia, sono stati lanciati messaggi chiari alla politica e alle istituzioni. Con la giusta dose di polemica, con uno spirito costruttivo e con un orgoglio identitario che non deve mancare nella categoria professionale impegnata a difendere i diritti dei cittadini. Il filo conduttore della prima giornata dei lavori congressuali è stato quello della centralità dell’avvocato, protagonista della giurisdizione. Trascorrono gli anni, cambiano gli scenari politici, intervengono i cambiamenti tecnologici, ma chi indossa la toga, frequentando i Tribunali, continua a conservare un ruolo centrale. L’avvocato non è solo colui che garantisce la difesa tecnica, ma è un vero e proprio punto di riferimento per la società. È, per dirla con le parole dell’indimenticabile avvocato leccese, Vittorio Aymone, sempre «pronto a cogliere i fermenti del Paese, fondamentale per garantire l’autonomia dell’ordine professionale e la sua libertà». Parole che, a distanza di oltre 40 anni, sono ancora vive e conservano la loro attualità. Sergio Paparo, coordinatore Ocf, non ha nascosto la sua emozione nel parlare davanti ai circa mille delegati presenti nel Politeama e in collegamento dal teatro Apollo. «Questo congresso forense – ha esordito – deve ricordare alla politica alcuni temi e alcuni impegni. Abbiamo indicato alla politica, prima della recente campagna elettorale, quali sono le priorità. In materia di giustizia occorrono convinzione e pragmatismo». Su questo punto Paparo, come del resto chi lo ha preceduto, ha espresso la propria delusione su come è stato gestito il tema dell’equo compenso, che non ha tagliato il traguardo sperato. «Il Parlamento - ha aggiunto – deve difendere la Costituzione e la giurisdizione si difende prendendo in considerazione i suoi protagonisti, senza inseguire il consenso politico. L’avvocatura farà di tutto per consentire che siano raggiunti gli obiettivi indicati». Il numero uno di Ocf non ha risparmiato critiche nei confronti dell’ondata riformatrice o presunta tale: «È stato un errore aver assegnato i fondi del Pnrr per obiettivi irrealizzabili». Il riferimento alle riforme nel civile e nel penale è stato chiaro. Nel primo caso il coordinatore dell’Organismo congressuale forense ha sottolineato l’astrusità dei provvedimenti, considerato pure che «occorrono anni per interpretare le norme», mentre serviva di più puntare sugli interventi strutturali. Secondo Paparo, le misure predisposte, seppur meritevoli, presentano dei limiti e parlare di riforma è azzardato. «Pretendiamo – ha detto – giudici con la “G” maiuscola. L’organizzazione della giustizia passa attraverso il pieno coinvolgimento dell’avvocatura. A casa nostra non dobbiamo essere invitati. Noi siamo i condomini, non gli ospiti o gli invitati». Sugli scenari futuri non è mancato un passaggio sull’intelligenza artificiale. «I colleghi che hanno lavorato su questo tema – ha concluso Paparo - vanno ringraziati. Hanno elaborato materiale di altissimo livello. Ci sono proposte molto concrete che consentiranno di fare quello che ci viene indicato come necessario. La mozione numero tre, parte dai principi costituzionali, che non vanno sacrificati. L’avvocatura italiana deve impegnarsi per l’efficienza e non per l’efficientismo della giurisdizione». Valter Militi, presidente di Cassa forense, ha rimarcato il particolare momento storico in cui è collocata la professione. «Cassa forense – ha affermato - è parte viva dell’avvocatura. Il mondo che ci circonda sta cambiando a una velocità che non immaginavamo. Il quadro complessivo è stato ridisegnato. Prima, esisteva un ceto, la borghesia, che ha dato una anima alle nostre scelte e ai nostri percorsi». Come la presidente del Cnf, Militi ha richiamato la questione identitaria dell’avvocatura, esortando tutti i colleghi a non scoraggiarsi. In merito agli scenari futuri ha evidenziato il contributo sempre prezioso del rapporto di Cassa forense e Censis. «Il nostro futuro – ha rilevato - si chiama previdenza. Abbiamo il dovere di non trascurare chi oggi sceglie di essere avvocato. La crisi di vocazione non deve dipendere da una mancanza di possibilità di intraprendere un percorso professionale o abbandonarlo dopo qualche anno. La riforma della previdenza significa avere un sistema più equo, per esempio, con la riduzione dei contributi minimi, ma con la certezza di un futuro pensionistico».