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Piccoli dettagli. Minimi ma illuminanti. La scena si svolge a Milano, prossima all’epicentro del dramma covid. Luogo in cui più che altrove il riavvio dell’attività, anche giudiziaria, può comportare rischi. Nel primo giorno di ripresa delle udienze, previsto qui come nel resto d’Italia dall’emendamento al decreto Intercettazioni, appena entrato in vigore, il presidente del Tribunale Roberto Bichi diffonde una circolare. Dà diverse istruzioni. Ma una colpisce più di tutte: premesso che l’area gip, pur danneggiata dall’incendio di marzo, è stata ripristinata almeno nella parte delle aule più grandi, che permetteranno quindi il distanziamento e la ripresa delle udienze, Bichi stabilisce che «si procederà per turni, tutti i giorni della settimana, anche al pomeriggio. Bisognerà evitare la congestione», ricorda il presidente, «quindi sarà importante che le udienze siano calendarizzate con orari di inizio differenziato, in modo che il singolo processo possa essere esaurito prima dell’effettiva trattazione dell’altro».
Al profano a questo punto potrebbe sorgere una domanda: perché mai il vertice di un ufficio giudiziario sente il bisogno di raccomandarsi affinché gli orari in cui è scandito il calendario giornaliero delle udienze siano effettivamente rispettati? Non è forse sempre così? La risposta che qualunque avvocato darebbe è: no, purtroppo, quasi mai è così. E anzi, Milano si dimostra ancora una volta ufficio giudiziario proteso verso il massimo rispetto possibile della funzione dell’avvocato e della condizione di chi in tribunale deve comunque entrarci. Il punto è che la rigorosa osservanza delle tabelle orarie è, persino nel capoluogo lombardo, un fatto eccezionale. Solo ora che gli assembramenti rischiano di creare conseguenze devastanti in termini di contagio, ci si attrezza davvero per evitarli.
È una vicenda istruttiva. Fa intendere come il dramma della pandemia, e della conseguente lunga paralisi dell’attività nei tribunali, possa almeno sollecitare un doveroso cambio di rotta organizzativo. Adesso che l’assembramento è assolutamente da evitare, si è anche costretti a creare un modello più decoroso per gli avvocati. Finora destinati a stiparsi dinanzi alle stanze- aule, ad assieparsi in corridoi angusti, a rassegnarsi ad attese umilianti per le condizioni in cui dovevano trascorrerle.
Naturalmente c’è un inevitabile scarto fra le circolari diffuse ieri in tutta Italia dai capi di tanti uffici giudiziari, da una parte, e l’effettiva entità della ripresa, dall’altra. Il primo giorno, per la fase 3 della giustizia, è stato a scartamento assai ridotto quanto meno sul versante del civile. In questo ambito, il ritorno alle udienze in presenza è stato limitato ieri, e lo sarà ancora nei prossimi giorni, da almeno due fattori. Innanzitutto dal fatto che solo poche ore fa, lunedì scorso, è apparsa in Gazzetta ufficiale la legge di conversione del Dl 28, con cui la fine della fase 2 è stata anticipata dal 31 luglio al 30 giugno. Da pochissimo, dunque, il provvedimento è vigente anche nelle parti, come quella relativa al riavvio della giustizia, introdotte come emendamenti al testo originari di fine aprile. Vuol dire che i giudici non hanno ancora potuto utilizzare il calendario di luglio per fissarvi udienze. A questo va aggiunto il lento, faticoso passaggio dallo smart working alle nuove modalità consentite dal Dl Rilancio, che prevede un graduale ritorno alla prevalenza del lavoro in ufficio. Lo stesso presidente del Tribunale di Milano Bichi ha segnalato nella propria circolare che la decisione con cui il Parlamento ha anticipato di un mese la fine della fase 2 impedisce il protrarsi di una «sospensione dell’attività giudiziaria», anche considerato che l’opzione del «lavoro agile», nella giustizia «è condizionata dalla disponibilità di efficaci strumenti informatici e dal fatto che il personale non ha accesso ai registri di cognizione civile e penale».
Nonostante le inevitabili esitazioni, alcune attività in presenza devono per forza andare a regime. Soprattutto nel penale, in particolare con le “direttissime”. Aspetto di cui, sempre nel caso milanese, si è occupato con distinta circolare il presidente delegato Marco Tremolada. Il quale ha raccomandato che i pm presentino gli arrestati «direttamente in udienza nel rispetto di tre fasce orarie, per evitare assembramenti in cancelleria: tenuto conto del fatto che ogni giorno sono disponibili tre aule, il pm dovrà presentare 6 arrestati entro le 10, 6 entro le 11 e 6 entro le 12». Anche qui la paura del contagio produce un virtuoso effetto di riorganizzaziome. Interessante anche il fatto che Tremolada ricordi come debba essere «il giudice della direttissima a verificare il rispetto del protocollo sanitario, pure durante i colloqui preliminari con il difensore». Con la ripresa anticipata delle udienze, sarà anche vinta la ritrosia dei magistrati a caricarsi il peso delle precauzioni anti covid. Da qui all’autunno, una ragionevole disponibilità ad assumersi tale onere sarà decisiva. E costituirà probabilmente l’architrave su cui la giustizia continuerà a reggersi ancora per molti mesi.