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Come già annunciato è stata archiviata dal gip di Messina la posizione dei magistrati per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, nella quale morirono Borsellino e la sua scorta. Il procedimento archiviato ha preso le mosse dalla trasmissione da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta alla Procura della Repubblica di Messina - a seguito del deposito della sentenza di primo grado del “Borsellino quater” - degli atti relativi al procedimento n. 916/18 modello 45 «al fine valutare le condotte dei magistrati all'epoca in servizio presso il distretto di Corte d'Appello di Caltanissetta in ordine alle indebite pressioni rivolte, in particolare, nei confronti di Scarantino Vincenzo, nell'ambito dei procedimenti conseguenti la strage di via D'Amelio». Il 4 giugno del 2015 per Scarantino i giudici erano consapevoli che le sue dichiarazioni fossero false Nel corso dell'udienza del 4 giugno del 2015 nell'ambito del procedimento summenzionato, il falso pentito Scarantino aveva fatto esplicito riferimento alla consapevolezza da parte dei magistrati che avevano gestito la sua collaborazione - nello specifico Giovanni Tinebra (poi deceduto), Carmelo Petralia e Anna Maria Palma Guarnier - che le dichiarazioni da lui rese nella fase delle indagini preliminari sulla strage di via D'Amelio fossero false.Ma nulla, nessuna responsabilità penale. L’indagine da parte della Procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia è partita, per poi però appunto chiedere l’archiviazione. A Caltanissetta è in corso un processo a 3 poliziotti con le stesse accuse Mentre, per gli stessi fatti e per la stessa accusa (concorso in calunnia aggravata dall'avere favorito Cosa nostra) a Caltanissetta è in corso un processo contro tre dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, membri del gruppo Falcone-Borsellino che indagò sulle stragi mafiose del '92 di via D'Amelio e di Capaci. I tre, secondo l'accusa, avrebbero in qualche maniera manovrato le dichiarazioni rese da Scarantino, costringendolo a fare nomi e cognomi di persone innocenti in merito all'attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.Un'inchiesta, ribadiamo, quella nei confronti degli investigatori e dei pm (ora archiviata), nata sulla scorta delle motivazioni della sentenza Borsellino quater in cui si parla in maniera chiara del depistaggio delle indagini certificando che Scarantino è stato «indotto a mentire». Eppure, secondo il giudice dell’udienza preliminare, «la corposa attività d'indagine posta in essere dall'Ufficio di Procura presso questo Tribunale non ha consentito – a parere di questo Giudice - di individuare alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati oggi indagati che fosse volta ad indurre consapevolmente Scarantino Vincenzo a rendere false dichiarazioni e a incolpare». Le dichiarazioni discordanti del falso pentito Per arrivare a questa conclusione, il gip prende le mosse delle dichiarazioni discordanti di Scarantino. Prima dice di essere stato indotto dai soli poliziotti senza la presenza dei magistrati, ma poi dice l’esatto contrario. «Chiesti chiarimenti- scrive il giudice - in merito alla diverse dichiarazioni rese nel tempo sulle condotte dei magistrati che si erano occupati della sua collaborazione, alle sue varie ritrattazioni, alle dichiarazioni reticenti e ai vari “non ricordo”, lo Scarantino ha giustificato la sua condotta in maniera confusa, addossandosi la colpa in quanto soggetto emotivamente instabile e additando la Polizia come la causa della "rovina della sua vita"». In sostanza Vincenzo Scarantino viene creduto solamente quando accusa esclusivamente la polizia. O meglio, quando davanti ai magistrati di Messina ritratta nuovamente la sua versione. Si legge sempre nell’ordinanza di archiviazione che «d'altronde, senza la successiva collaborazione di Spatuzza Gaspare (iniziata nel giugno 2008), della falsità delle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo non vi sarebbe stata alcuna certezza». La totale mancanza di attendibilità di Scarantino era nota dal 1995 Eppure, molti anni prima qualche altra certezza c’era stata. Parliamo del 3 gennaio del 1995, quando c’è stato il confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo. Ed è proprio in quel confronto che emerse la totale mancanza di attendibilità di Scarantino. Ma è accaduto che il verbale del confronto è rimasto nel cassetto per diverso tempo. Alla data dei confronti, ovvero il 13 gennaio 1995, nessuno dei processi riguardante la strage di via D’Amelio era stato ancora definito. La sentenza del primo processo concluso, il Borsellino 1, viene pronunciata solo nel gennaio del 1996, a distanza di oltre un anno dall’avvenuta assunzione dei confronti. Il deposito di quei verbali demolitori della figura di Scarantino, quanto al profilo criminale quanto al contenuto delle dichiarazioni, avrebbe potuto quindi incidere sensibilmente sulle conclusioni di quel processo. Che invece, com’è noto, si concluse accettando l’intero impianto accusatorio basato sulla parola di Scarantino e condannandolo all’ergastolo. Scarantino congedato dal servizio militare perché ritenuto «neurolabile» Il verbale uscì fuori grazie alla tenacia dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che all’epoca difese alcuni imputati poi condannati ingiustamente per la strage. La commissione Antimafia della Sicilia, nella sua relazione, ha evidenziato che il mancato deposito di detti verbali nella segreteria del pubblico ministero ha «sicuramente determinato una grave deviazione processuale, perché ha impedito alla Corte di Assise di Caltanissetta una piena cognizione ed una corretta valutazione dell’inesistente affidabilità di Scarantino». Un iter processuale, quindi, che già nel 1995 avrebbe avuto un esito diverso, se solo si fosse portato a conoscenza di quel verbale, il perno principale che avrebbe fatto decadere tutte le accuse senza arrivare fino al Borsellino Quater. Come se non bastasse, nel 2019, durante il processo depistaggio contro i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, esce fuori un documento che attesta che Vincenzo Scarantino fu congedato dal servizio militare perché ritenuto dai medici «neurolabile». È stato prodotto dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, ex imputati falsamente accusati e poi scagionati e scarcerati. Secondo quanto risulta nel documento del 1986 a Scarantino venne diagnosticata una «reattività nevrosiforme persistente in neurolabile». Motivo in più per chiedersi del come mai non si siano fatti tutti quegli accertamenti quando a suo tempo presero per oro colato le false dichiarazioni di Scarantino. Una Fiammetta Borsellino, delusissima dell’archiviazione, si è lasciata andare a un amaro «cane non mangia cane».