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In Pakistan ci sono due bambini italiani, derubati dei documenti, costretti a vivere nascosti da due anni in casa di parenti a Islamabad, senza possibilità di tornare in Italia dalla madre. Non solo. Rischiano che il tribunale pakistano dichiari decaduta l’autorità della madre che attualmente si trova in Italia, e li consegni ai fratelli del padre che li ha abbandonati e che li sta usando come merce di scambio. Una drammatica vicenda segnalata direttamente dal progetto Melting Pot Europa e denunciata dall’associazione “PortAmico” di Portomaggiore, in provincia di Ferrara, la quale chiede un intervento da parte del ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio.«A questi due bambini che, voglio sottolinearlo, hanno la cittadinanza italiana e sono quindi italiani, sono stati negati tutti i diritti fondamentali dell’infanzia, senza che nessuna autorità del nostro Paese si sia mossa a loro tutela - spiega Grazia Satta dell’associazione “PortAmico” -. Dal gennaio 2018, questi bimbi sono costretti a vivere nascosti in casa dello zio materno a Islamabad, senza assistenza sanitaria, senza l’affetto della madre e senza neppure frequentare la scuola perché sono stati derubati dei documenti. In Pakistan i diritti della donna sono un capitolo tutto da scrivere e una madre da sola, senza la firma di un uomo, non ha nessun diritto, neppure quello di riprendersi i suoi bambini dopo che sono stati abbandonati dal marito. Quello che mi stupisce è che la Farnesina accetti queste regole patriarcali e non faccia nulla per riportare in Italia questi due bambini che, lo ripeto ancora una volta, sono nati in Italia, hanno la cittadinanza italiana, sono italiani e hanno tutto il diritto di essere tutelati dalla legge italiana».Partiamo dalla storia della madre, NPB, segnalata sempre dal progetto Melting Pot Europa. È simile a quella di tante donne pakistane. Matrimonio combinato dalla famiglia rispettando i dettami della casta - pur se abolite dalla legge pakistana e contrarie alla fede islamica, le caste in Pakistan continuano ad essere rispettate nella società - e trasferimento in Italia per il ricongiungimento. Ma la sua storia con M.B. 38 anni, italiano di origine pakistana, dura solo il tempo di generare due figli. L’uomo trova una nuova compagna e decide di liberarsi della famiglia precedente e lo fa nel modo, per lui, più semplice che gli evita noiose pratiche burocratiche e, soprattutto, l’assegno di mantenimento. Porta la moglie e i figli in Pakistan, ruba loro soldi e documenti, e li abbandona a Islamabad. Quindi se ne torna in Europa, in Inghilterra, secondo le ultime notizie, e si sistema con la nuova compagna.Ma N.P.B., stavolta si ribella al costume tradizionale che vede la donna abbandonata tornare in famiglia e chinare la testa accettando supina la volontà del maschio. Prova a tornare in Europa con i due bambini per far valere i suoi diritti col tribunale italiano. Ma alla frontiera pakistana non li fanno passare. Che lei sia la madre, per l’autorità pakistana, non conta nulla. A quel punto, con grande coraggio, decide di affidare i due bambini a suo fratello e di venire da sola in Italia per chiedere giustizia e il ricongiungimento familiare. Tornata nella sua casa del comune di residenza, viene accolta con pesante ostilità dalla comunità pakistana ed intercettata dai parenti del marito che vedono il suo comportamento come uno sgarro alla famiglia. Così costretta a scappare in Emilia dove, tramite “PortAmico” viene accompagnata al centro “Donne e Giustizia” di Ferrara e inserita in un programma di alta protezione.I bambini attualmente sono in pericolo perché l’ex marito ha portato in tribunale un documento con la firma falsificata di N.P.B. in cui è lei che chiede il divorzio allo scopo di ostacolare la richiesta della donna di cittadinanza italiana, e ha presentato la richiesta di ottenere la custodia dei bambini allo scopo evidente di usarli come merce di scambio e ricattare la donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi.«Chiediamo alla Farnesina di attivarsi immediatamente per riportare i due bambini in Italia e riconsegnarli alla loro madre», chiede con forza Grazia Satta dell’associazione “PortAmico”.