Dialogo e aderenza al “contratto”. Riconoscimenti ampi e ripetuti agli «avvocati e ai magistrati italiani» che rappresentano «un’eccellenza internazionale» ma nello stesso tempo difesa della “nuova” prescrizione, del “daspo” e dell’agente sotto copertura, senza alcun ripensamento sull’addio alla riforma del carcere. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non sorprende, con la sua “Relazione sullo stato della giustizia”. Fa capire che il «dialogo» continuerà a essere il suo metodo, ma anche che sugli obiettivi, in particolare per il processo penale e per le carceri, non cambia nulla. Resta l’idea che alla «situazione drammatica» degli istituti penitenziari si debba rispondere con «investimenti nell’edilizia carceraria» anziché per esempio con la depenalizzazione.

GIUSTIZIA E SFIDUCIA

Giornata scandita dal doppio impegno, per il guardasigilli: in mattinata il confronto al Senato, nel pomeriggio a Montecitorio, dove le critiche mosse soprattutto dal Pd toccano i toni più aspri. Testo identico, segnato dunque da apprezzamenti continui all’opera del personale amministrativo, della polizia penitenziaria ma soprattutto di avvocati e giudici. Si parte da alcuni dati sulla «sfiducia nel sistema giustizia». Il 30,7 per cento degli italiani, secondo il rapporto Censis citato da Bonafede, «negli ultimi due anni ha rinunciato a intraprendere un’azione giudiziaria per i costi eccessivi o perché sfiduciato nei confronti della magistratura e del funzionamento della giustizia: 7 italiani su 10 pensano che il sistema non garantisca la tutela dei diritti». La «crescita della sfiducia è costante» ma è anche «un paradosso, se consideriamo che magistratura e avvocatura italiane sono eccellenze a livello internazionale», appunto.

I TAVOLI PER LE RIFORME

È questa considerazione a spingere il guardasigilli verso l’auspicio che «l’interlocuzione trasversale» sia con «le forze parlamentari» che gli «operatori del settore» porti a «riforme condivise». E il metodo, in campo penale e civile, si realizzerà concretamente, aggiunge, con «lo strumento della legge delega, che permetterà al Parlamento di esprimersi su progetti così importanti, sui quali si apriranno contemporaneamente tavoli di confronto con i magistrati e gli avvocati, che potranno dare un contributo fondamentale nel calibrare le riforme».

È un passaggio essenziale. Che però dovrà fare i conti con due aspetti decisivi. Innanzitutto con la stesura ormai quasi conclusa dei due disegni di legge delega: «Saranno depositati entro la prima metà di febbraio». Si partirà dunque da schemi modificabili ma definiti che, per esempio in campo civile, hanno incontrato già i rilievi delle rappresentanze forensi. In particolare sul rischio di inasprire «preclusioni e sanzioni». L’altro snodo controverso della road map disegnata dal guardasigilli riguarda più specificamente il processo penale, e in particolare la difesa della «prescrizione sospesa dopo la sentenza di primo grado».

IL NODO PRESCRIZIONE

Sul rischio che quell’intervento allunghi i processi, il ministro non contesta le preoccupazioni espresse innanzitutto dall’Unione camere penali con l’appello al Quirinale sottoscritto da 150 professori di diritto. Dice che «proprio al fine di scongiurare tale rischio, è in programma un massiccio intervento sulle cause strutturali che oggi determinano la durata irragionevole dei processi, attraverso l’aumento e l’ottimizzazione delle risorse umane, l'accelerazione dell'innovazione informatica, lo snellimento delle procedure e, soprattutto, la semplificazione degli istituti di diritto processuale». Da una parte dunque l’implicito riconoscimento che lo stop alla prescrizione vada bilanciato, dall’altro un riferimento solo accennato ai modi in cui si tenterà di farlo. Genericità che è un bene: se Bonafede pensa di scriverla al “tavolo” con giudici e avvocati, è anche giusto che su questa riforma, per ora, non si sbilanci.

CIVILE E FALLIMENTARE

Anche nel caso del civile non si può parlare di dettagli, ma di una “filosofia del progetto”. «Il processo sarà più semplice e comprensibile per i cittadini», innanzitutto. «Al giudice e alle parti sarà consentito di modulare tempi e adempimenti processuali in base all’effettiva complessità della controversia e alle reali esigenze difensive, chiaramente nel rispetto dei diritti delle parti coinvolte. Si tratterà di un processo che a me piace definire a fisarmonica», aggiunge Bonafede, «e cioè che possa durare una o due udienze al massimo per cause semplici e che, invece, abbia un’estensione maggiore per cause più complesse». Ipotesi accennata dal ministro sono quelle della «obbligatorietà del deposito degli atti introduttivi con modalità esclusivamente telematiche» e di «istituti in grado di comprimere i tempi del processo senza diminuirne funzionalità e garanzie».

Nella relazione presentata ieri dal guardasigilli ai due rami del Parlamento c’è un ampio passaggio sulla riforma del diritto fallimentare che, assicura, «renderà più agile la soluzione delle crisi da indebitamento» ma eviterà anche lo «stigma del fallimento» agli imprenditori: quella parola, “fallito”, non ci sarà più, ricorda il ministro, perché si parlerà formalmente di «liquidazione giudiziaria».

Ma come detto è sullo «spazzacorrotti» ( che, dice, «ha già ricevuto apprezzamenti internazionali» ) e in particolare sulla prescrizione che il guardasigilli difende le posizioni senza concedere aperture. Anche sul piano dell’analisi: il problema, dice, sono «le classifiche che danno l’Italia al 69esimo posto per la corruzione percepita», come «ricorda una ricerca dell’Eurispes». Solo che, mentre per l’istituto presieduto da Gian Maria Fara quegli indici sono inattendibili e perciò fuorvianti, Bonafede li difende come «un dato oggettivo». Inoltre da una parte il guardasigilli riconosce che l’incidenza della prescrizione nella fase interessata dalla riforma, cioè l’appello, è bassissima, «il 25,8 per cento», dall’altra parla di «uso pretestuoso» dell’istituito «nel dibattito politico» e di «strategie difensive meramente e legittimamente dilatorie in presenza di uno strumento fornito dalla legge». E su questo punto dell’analisi la distanza fra il ministro e l’avvocatura pare destinata a restare ampia, giacché per il titolare della Giustizia il diritto a impugnare soccombe rispetto alle sue presunte declinazioni utilitaristiche.

Resta il metodo, positivo, del «dialogo» in particolare proprio con gli avvocati, oltre che con i magistrati. E anche la rivendicazione di interventi positivi come «la legge sulle violenze di genere», ossia il cosiddetto «codice rosso». Ampie rassicurazioni sia sulle assunzioni di «600 magistrati» che di «3000 unità di personale amministrativo», con lo scorrimento della graduatoria dell’ultimo concorso. Confermato l’ aumento di disponibilità finanziaria per la Giustizia quantificato in «324 milioni» che serviranno anche per «l’edilizia giudiziaria» e per scongiurare altri casi drammatici come quello del «giovane praticante di Milano Antonio Montinaro», precipitato dallo scalone del Tribunale. «Sarà una giustizia più semplice e vicina ai cittadini», è la parola d’ordine. Ma molte altre il ministro dovrà sceglierne a breve per cambiare il processo.