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C’è un giudice a Berlino. Anzi a Caltanissetta. Non è nemmeno un giudice, ma un magistrato inquirente. È il sostituto procuratore generale della corte d’Appello di Caltanissetta il quale, nel suo intervento in aula durante l’udienza in merito alla richiesta di revisione del processo presentata dai legali di Dell’Utri, ha sostenuto che dell’ex senatore dovrebbe essere sospesa in attesa della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. In pratica, il procuratore, va incontro all’istanza di revisione del processo Dell’Utri presentata dai suoi avvocati e nello specifico sposa la tesi della difesa: Dell’Utri si trova nella stessa identica situazione di Bruno Contrada e conseguentemente non ha senso tenerlo in galera. Sì, perché la sentenza della Corte europea aveva stabilito che Bruno Contrada non poteva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non «era sufficientemente chiaro e il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti». Nella sentenza i magistrati di Strasburgo avevano infatti affermato che «il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e che quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli». La Corte aveva evidenziato come tale reato sia comparso per la prima volta nella sentenza Cillari (Cassazione del 14 luglio 1987) e sia poi stato oggetto di interpretazioni divergenti, fino alla pronuncia della Cassazione sul caso Demitry (5 ottobre 1994) che, mettendo fine ai contrasti, ne ha espressamente riconosciuto la configurabilità. In estrema sintesi, prima del ‘94, il reato era troppo vago nella formulazione e non ben definito. Una storia simile a quella di Marcello Dell’Utri visto che è stato condannato per lo stesso “reato” che avrebbe commesso prima di tale data. Un illecito, ricordiamo, che non esiste nel nostro codice penale, ma viene tratto dal combinato disposto degli articoli 110 e 416-bis. Il procuratore ritiene, dunque, che la richiesta di revisione avanzata dai legali abbia delle fondamenta; non a caso considera l’ex senatore «il figlio minore di Contrada». Ora però saranno i giudici della corte d’Appello di Caltanissetta - il tribunale competente per tale richiesta - a decidere se accogliere o meno la richiesta di revisione e la sospensione della pena fino al verdetto. Un verdetto che dovrebbe arrivare entro febbraio e non è scontato che i giudici confermino il parere espresso dal procuratore. Anche perché, almeno finora, i magistrati hanno sempre rigettato le istanze presentate dai legali di Dell’Utri. L’ultimo rigetto, sul versante “umanitario”, è stato quello da parte del tribunale di sorveglianza che non ha riconosciuto l’incompatibilità carceraria e quindi non ha concesso la detenzione ospedaliera o domiciliare. La decisione era arrivata il 7 dicembre, ma il sentore di una scelta del genere era già nell’aria, quando, nel corso dell’udienza del 5, il Procuratore Generale di Roma, Pietro Giordano, aveva dato parere negativo alla scarcerazione di Dell’Utri nonostante i medici legali del carcere di Rebibbia avessero dichiarato l’impossibilità di curarlo adeguatamente in un luogo detentivo. Da tempo si era parlato di incompatibilità con il carcere per le sue precarie condizioni fisiche. Per questo motivo, più di un anno fa, i legali dell’ex senatore avevano depositato in Tribunale una dettagliata istanza per chiedere la sospensione della pena per il proprio assistito, respinta solo tre settimane fa. Una decisione che non fa i conti con la realtà, perché oltre alle gravi patologie come la cardiopatia, nell’ultimo periodo a Dell’Utri è stato anche diagnosticato un tumore alla prostata che necessita di cure radioterapiche. L’ex senatore ha intrapreso uno sciopero della terapia per sottolineare il suo caso particolare, ma anche per evidenziare quello generale della “sorveglianza” nelle carceri che non è in grado di soddisfare quel livello di sanità e umanità necessario per chi è affetto da gravi e pericolose patologie. Ora per Dell’Utri si accende una speranza, almeno quella relativa alla sospensione della pena in attesa della sentenza della Corte europea di Strasburgo.