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Ergastolo con isolamento diurno per due mesi: si potrebbe pensare che sia un condanna inflitta ad un pericoloso boss della mafia e invece è la pena che due giorni fa la prima Corte d'Assise di Roma ha comminato a Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, accusati dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Il popolo esulta col trofeo in mano, non però quello di Dike (la giustizia) bensì quello delle Erinni, simbolo di vendetta. «Paradossalmente per un ragazzo di 19 anni l'ergastolo è più di una pena di morte - ci dice l'avvocato Renato Borzone, che difende, insieme al collega Roberto Capra, Lee Elder, il ragazzo che ha accoltellato Rega -. Significa restare tutta la vita in carcere, per di più in un Paese straniero. E non dimentichiamo che solo per poco non è stato giudicato dal Tribunale dei minori e che soffre di pesanti problemi psichiatrici. Questa fame di pena e di carcere è significativa del background culturale del nostro Paese e di buona parte della magistratura che deve mostrare il pugno di ferro». In merito alla decisione, Borzone si dice «sgomento insieme a tutta la stampa americana che, avendo seguito il processo, non si capacita dell'esito di questa vicenda. Non si è voluto in nessun modo guardare alle carte processuali ma si è fatto un atto di fede nei confronti della forza pubblica. E questo non è accettabile in una democrazia liberale. Il racconto dell'unico accusatore (il collega di Cerciello Rega, Andrea Varriale, ndr) è costellato da decine di esposizioni non corrispondenti alla realtà dei fatti: a nostro giudizio non è stato assolutamente provato, ad esempio, che i due carabinieri abbiano mostrato i tesserini e si siano qualificati. Varriale ha ripetuto per cinque volte in dibattimento di aver attraversato la strada sulle strisce pedonali di fronte alla farmacia in modo perpendicolare e il video della banca Unicredit dimostra esattamente il contrario. Ciò conforta la versione che hanno fornito i due imputati di essere stati affiancati dai due carabinieri che poi li hanno afferrati. Noi non abbiamo mai voluto dire che i carabinieri volessero uccidere i ragazzi o che volessero aggredirli. È probabile che volessero fermarli, ma nell'ambito di una operazione di polizia che è incredibile per la violazione di tutti i protocolli previsti. Questo, insieme a quanto accaduto a Bolzaneto, nella caserma di Piacenza, e i casi Cucchi e Marrazzo sollevano dubbi sulla catena di comando all’interno dell’Arma». Questi elementi, insieme ai tantissimi altri che la difesa ha fatto emergere durante il dibattimento, lascerebbero ben sperare per l'Appello: «Non vuol essere una frase fatta ma noi contiamo sull'appello che sia condotto però da un giudizio laico e non formato su una ideologia per cui le forze dell'ordine hanno sempre ragione, soprattutto in un caso come questo dove abbiamo assistito all'imbavagliamento di uno dei due ragazzi in una caserma dei carabinieri, dove sono stati anche coperti di sputi quando sono arrivati». Chiediamo all'avvocato Borzone se questo processo non sia la conferma di un concetto espresso recentemente dall'avvocato Valerio Spigarelli in un suo scritto per cui «il processo viene visto come uno strumento di difesa sociale e per tale motivo si carica di una serie di aspettative che finiscono per snaturarne le funzioni». I giudici - risponde Borzone - «sono mossi sicuramente da istanze etiche e ciò non dovrebbe verificarsi in un Paese liberal democratico, dove si giudicano i singoli fatti e non i fenomeni. In questo caso si è voluta emettere una sentenza esemplare. E poi emerge sempre di più che in Italia non c'è la cultura della giurisdizione che si trasferisce dai giudici ai pm, bensì quella dell'Inquisizione che trapassa dai pm ai giudici. Purtroppo non abbiamo molto spesso giudici strutturati in base all'articolo 111 della Costituzione». Per concludere chiediamo all'avvocato se è d'accordo con l'analisi del collega Ennio Amodio, secondo cui nel processo non dovrebbe entrare la parte civile, seconda accusatrice dopo il pm: «Sono contrario da sempre alle parti civili: si inseriscono delle istanze di vendetta privata all'interno del processo penale». E poi fanno entrare in aula un’alta carica emotiva, che nulla c'entra con gli aspetti tecnico processuali: «Esattamente. C'è anche un problema di funzione del processo penale che si equivoca: non credo debba essere un modo di tutelare le vittime del reato, bensì dovrebbe accertare secondo i principi del giusto processo se una persona ha commesso o no un fatto. Sarebbe molto meglio che la soddisfazione per la vittima venisse consegnata ad un giudizio civile». Abbiamo raccolto anche il parere dell'avvocato Francesco Petrelli, che ha difeso Gabriel Natale Hjorth insieme all'avvocato Fabio Alonzi: «La pena dell'ergastolo va letta per quello che è nella sua natura terrifica e inumana, contraria al dettato costituzionale. Significa dire a un ragazzo di poco più di 18 anni che non uscirà più dal carcere e che li dovrà finire la sua vita. Quale ragione di Stato e quale spinta vendicativa può far ritenere giusta una simile condanna, al di là delle parole di circostanza che sono state spese?». Il loro assistito non ha inferto le coltellate a Cerciello Rega, eppure è stato condannato alla stessa pena di Elder: «Non entro nel merito di questioni e di ulteriori valutazioni che potremo conoscere solo leggendo le motivazioni - ci dice ancora Petrelli - ma la identità della pena inflitta, già di per sé oggettivamente contraria ad ogni principio di proporzionalità assoluta e relativa, irrogata con riferimento a posizioni che risultano totalmente difformi resta francamente incomprensibile». Il caso ha sicuramente creato delle aspettative di condanna da parte dell'opinione pubblica, i giudici si sono potuto lasciare influenzare dalla pressione mediatica e sociale? «Accade ormai sempre più spesso che i processi, anche al di là della loro più o meno estese esposizioni mediatiche, divengano il pretesto per soluzioni di tipo simbolico, per cui la decisione tende ad assumere un valore di messaggio o di grande metafora comunicativa; il che stravolge totalmente e pericolosamente il ruolo e il fine del processo penale e la sua funzione democratica di civilizzazione». Resta il fatto che dinanzi ad una dinamica dei fatti ambigua la Corte abbia sposato pienamente la tesi dell'accusa: «La dinamica dei fatti è stata in verità smentita anche dalla prova documentale - conclude Petrelli - in ogni sua latitudine e longitudine. Le reticenze e le menzogne emerse nella ricostruzione dell'intero "antefatto" sono clamorose, come sono risultate in maniera eclatante nei commenti a caldo e nelle successive valutazioni degli stessi colleghi dei due militari le anomalie, le oscurità, le deviazioni, le violazioni comportamentali poste in essere nel corso di quella operazione di recupero. È davvero inaccettabile che la Corte possa aver condannato partendo da tali presupposti». Intanto ieri Il dipartimento di Stato Usa, tramite un suo portavoce, ha fatto sapere: «Siamo consapevoli che a Roma i cittadini americani Finn Elder e Gabriel Natale-Hjorth sono stati condannati all'ergastolo per l'accusa di omicidio. Noi ci assumiamo la piena responsabilità di assistere i cittadini americani all'estero e fornire tutti i servizi consolari appropriati». Il dipartimento, ha concluso il portavoce all'Agi, «resta in contatto con loro e continuerà a garantire i servizi consolari, incluse le visite in carcere».