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Francesca Brandoli non ce la faceva più. Ci aveva già provato a togliersi la vita 16 anni fa, consumata dalla depressione, dal rimorso, dalla mancanza, atroce, dei figli. Ma erano riusciti a fermarla, a salvarle quella che qualcuno chiamava vita, ma non lei, non più, con l’ergastolo sulle spalle, i figli lontani per sempre e il peso di una condanna che ha definito fino all’ultimo giorno ingiusta, raccontandosi innocente.
Nonostante tutte le bugie, le calunnie e i tentativi di allontanare da sé il sospetto, però, nessuno le aveva creduto. Non i giudici, sicuramente, che l’avevano condannata all’ergastolo, insieme al suo ex compagno Davide Ravarelli, per l’omicidio dell’ex marito, Christian Cavalletti, nel 2006. Un omicidio consumato a colpi di coltello e martello lo stesso giorno in cui il Tribunale aveva deciso che i due bambini nati dal loro matrimonio dovevano rimanere col padre.
Mentre il terzo, quello che teneva in grembo e frutto dell’amore con Davide, le fu portato via un mese dopo la nascita, dato in affido e poi in adozione e mai più rivisto. E forse, diceva a Franca Leosini, che aveva raccontato in tv la sua storia maledetta, meglio non conoscere i nomi e i volti dei suoi nuovi genitori. Troppo dolore anche solo immaginarli.
Magrissima, spesso sola, era scivolata in una depressione che macchiava tutto di nero, come gli occhiali con cui copriva il volto minuto. Travolta dalle sue bugie, dalle colpe, dalla solitudine inguaribile di una maternità a braccia vuote, senza futuro. Meglio che non sappiano chi sia la loro madre, diceva immaginando i figli, perché è difficile immaginare che possa fiorire l’amore in un buco nero come quello. Eppure era l’amore ciò a cui Francesca Brandoli tendeva. Come un girasole che cerca la luce, anche lei voleva solo essere vista, scaldata. Perché era stato l’amore a fregarla, diceva, e pensava che sempre l’amore potesse salvarla.
Amava tantissimo Christian, raccontava, e gli occhi le brillavano. Anche se, secondo i Tribunali, lo ha ucciso, in quella che si chiama verità giudiziaria. Non lei, di certo, che insisteva: è stato Davide. Ha amato anche lui, per un po’, lui che per lei ha ucciso e poi lo ha ammesso, prendendosi tutte le colpe. Ma non è bastato. E poi, anche in carcere, perfino in carcere, ha amato.
Il suo nome è Luca Zambelli, che un giorno è arrivato nella sua cella per fare delle riparazioni. E da quel momento, lettera dopo lettera, incontro dopo incontro, hanno finito per amarsi. Anche lui era lì per la sua stessa ragione: omicidio. Luca, come lei, aveva ucciso la donna che diceva di amare, la moglie. Ma si diceva pentito e questo a Francesca bastava. Così, due anni dopo il primo incontro, si sono sposati, una t-shirt addosso come abito da sposa. Ma lui aveva una speranza: una data di fine per la sua condanna, che sarebbe terminata dopo 18 anni. Lei no. Poteva affidarsi al sogno, all’amore, ma senza un orizzonte a cui mirare. Fine pena mai era il suo unico destino. E a volte glielo rinfacciava un po’, consapevole di essere ingiusta.
Chi l’ha conosciuta in carcere, come Luna Casarotti, per un breve tempo sua compagna di percorso alla Dozza di Bologna, parla di una donna fragile, bugiarda, ma tanto buona. Anche perché le bugie erano il suo modo per gestire il dolore, per tenere insieme pezzi di un mondo che progressivamente vedeva sbriciolarsi. Il giorno del matrimonio con Luca, le ragazze della sezione definitiva avevano provato a cancellare il grigio e le sbarre attorno, con un po’ di trucco e qualche accessorio.
La maglietta che aveva indosso Francesca era proprio presa in prestito da Luna, una dote che in un mondo fatto di sbarre vale tanto quanto quella sontuosa nel mondo dei vivi lì fuori. Ma del “pranzo di nozze”, come sempre, non toccò nulla. Perché Francesca non mandava giù niente, solo un po’ di frutta, forse per non dare troppa pena agli altri. Spesso, però, veniva isolata.
«Era piena di parole, a volte troppe - racconta Luna -. Parlava tanto e diceva cose fuori luogo. In carcere, a volte accusava altre detenute di cose che non avevano fatto, creando scompiglio tra di loro. Era una persona che, forse per difendersi o per attirare attenzione, finiva per mettere zizzania tra le altre detenute. Anche io ho avuto molte discussioni con Francesca, ma alla fine, come spesso succede in carcere, si faceva pace. Francesca non era una persona cattiva. Aveva semplicemente un problema, che a volte la portava a comportarsi in modo strano. Probabilmente cercava un’attenzione che non riceveva. Alla fine, però, era una persona di buon cuore. Ricordo che quando entrò in carcere, dopo aver partorito, dimagrì visibilmente, arrivando a pesare solo 45 chili, se non meno. Ci aveva già provato, sapevamo che lo avrebbe rifatto. E questa volta ci è riuscita…».
È stata Luna ad avvisare Luca, ormai fuori dal carcere, ormai suo ex marito, dopo soli cinque anni di matrimonio, che quella che lo aveva colpito con la sua semplicità e fragilità, con la sua figura minuta, era morta. Aveva sistemato un fantoccio sotto le coperte per far credere a tutti di essere ancora a dormire e non allertare gli agenti della penitenziaria. E invece si era impiccata. Stavolta nessuno è riuscito a fermarla. Diventando il numero 25 su una lista che nessuno vuole strappare.