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Opportunità di una legge su toghe e politica. E di una revisione delle norme sulle «valutazioni di professionalità dei magistrati». Ma anche difesa del presidente della Cassazione Giovanni Canzio che su quest’ultimo tema ha pronunciato parole significative e che è stato oggetto di «attacchi ignobili». Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini affronta diverse delle questioni che attraversano il governo autonomo della magistratura. A partire dalle nomine, dopo che un gruppo associativo ha messo in discussione il Testo unico della dirigenza. In particolare nella parte in cui supera il parametro dell’anzianità di servizio.
Vicepresidente Giovanni Legnini, non pensa che questa sia una polemica fuori tempo, in quanto ai cittadini, rispetto all’età, interessa maggiormente l’equilibrio e la capacità professionale di un presidente di Tribunale o di un procuratore?
Penso che il legislatore del 2006 fece bene a sopprimere il criterio dell’anzianità. Non so per soddisfare quali istanze si voglia ripristinare tale criterio di selezione della dirigenza. Sia chiaro, non penso affatto che l’anzianità di servizio, da criterio prioritario, debba essere totalmente pretermessa nelle valutazioni consiliari. Ma non si può tornare indietro. L’anzianità di servizio va presa in considerazione per misurare l’avvenuta acquisizione delle attitudini a ricoprire ruoli di dirigenza degli uffici giudiziari che deve basarsi sulla concreta esperienza giurisdizionale e sulle comprovate capacità organizzative. Del resto, la triste vicenda della sconfitta di Giovanni Falcone nel concorso a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo dovrebbe far riflettere. L’idea dell’anzianità senza demerito come criterio primario di selezione è anacronistica e va consegnata alla storia.
Secondo un recente sondaggio la fiducia degli italiani nella magistratura è in costante calo. Qual è la sua opinione?
Per una parte i magistrati pagano in termini di fiducia per responsabilità non loro, dovute all’inefficienza del sistema ed alla più generale crisi di fiducia nelle Istituzioni. I cambiamenti culturali di questi anni hanno peraltro inciso sul livello di fiducia nella magistratura, penso ad esempio al valore che oggi si attribuisce al fattore tempo e quindi alla ragionevole durata del processo o alla chiarezza e qualità del linguaggio delle sentenze. C’è poi la crescente domanda di professionalità, specializzazione e terzietà, anche su temi nuovi come quello della comuni- cazione, proprio nell’ottica del ‘ dovere di comunicare la giustizia’, rifuggendo da protagonismi e personalismi.
Questo Csm ha impresso una spinta riformatrice che non ha molti precedenti. Il legislatore, invece, segna il passo. Si pensi, ad esempio, al tema delle toghe in politica sul quale, a differenza del Parlamento, il Csm si è espresso da tempo. Cosa può dire al riguardo?
Posso solo ribadire ciò che ho più volte detto, da ultimo anche davanti alle commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato. E cioè che il Parlamento ha a sua disposizione una grande opportunità: quella di approvare una legge che regolamenti con chiarezza il rapporto tra l’esercizio della funzione giurisdizionale e l’elettorato passivo o gli incarichi di governo, con il divieto di utilizzare in un determinato territorio il credito acquisito da magistrato per proiettarsi nell’agone politico e preclusione della possibilità di tornare indietro dopo aver scelto la politica. Con il giusto contemperamento di diversi valori costituzionali, queste sono le risposte che il legislatore potrebbe fornire, credo, con un largo consenso parlamentare. D’altronde, è la mia opinione, costituisce un danno grave per la magistratura la percezione della sua politicizzazione.
A fronte di uffici con gravi scoperture ma senza ritardi ci sono uffici a pieno organico ma con pesanti ritardi nella definizione dei procedimenti. Possiamo affermare che il rapporto personale/ efficienza è ormai superato, essendo prioritario guardare a come vengono impiegate le risorse?
Le carenze di organico del personale amministrativo e di quello magistratuale, che nonostante gli sforzi del governo sono ancora gravi, incidono, purtroppo, sulle prestazioni e i risultati degli uffici giudiziari. Questo è innegabile. Ma è pure vero che gli studi di performance hanno da tempo messo in evidenza anche altro, e cioè che le misure, e quindi le capacità organizzative, incidono in misura molto rilevante sull’efficienza della giustizia. È questa la ragione per la quale, mai come in questa consiliatura, stiamo investendo sulla ‘ risorsa dell’organizzazione’ con diverse elaborazioni consiliari per accrescere la cultura organizzativa dei magistrati italiani. So che non fa notizia, ma abbiamo conseguito risultati straordinari su tale versante della funzione dell’autogoverno.
Tema “delicato”: le valutazioni di professionalità. Il presidente Canzio ha sottolineato più volte che in nessun sistema organizzato, come appunto la magistratura, il 99.7% dei componenti abbia una valutazione positiva. Concorda?
Ha ragione il presidente Canzio. Il Csm può e deve fare di più ma solo il legislatore potrebbe davvero modificare i criteri di valutazione della professionalità dei magistrati, rendendoli più efficaci e selettivi, nonché potenziando gli effetti delle valutazioni di professionalità per il prosieguo della carriera del singolo magistrato.
È questo, quindi, uno dei motivi per cui Canzio viene spesso attaccato da alcuni magistrati?
Taluni attacchi al presidente Canzio sono ignobili. Penso che una parte della magistratura farebbe bene a riflettere sui pericoli di certe posizioni esasperate che rischiano di compromettere la credibilità delle istituzioni giudiziarie e la legittimazione della magistratura nel suo complesso. Lo straordinario valore professionale e l’assoluta indipendenza del presidente Canzio e del Pg Ciccolo, riconoscibili da tutti, costituiscono l’esclusiva ragione per la quale questi due magistrati, che a fine anno lasceranno l’incarico, sono stati investiti di responsabilità così elevate.
A proposito di valutazioni di professionalità, i magistrati hanno protestato sul fatto che gli avvocati potessero esprimersi al riguardo. Che opinione ha?
La mia opinione è nota: penso che il punto di vista dell’avvocatura sia utile per una più completa base informativa su cui innestare la valutazione di professionalità. Credo, poi, sia necessario ricercare un nuovo equilibrio tra l’intangibilità dell’autonomia della magistratura e l’apporto conoscitivo dell’avvocatura anche su tale tipo di valutazioni. Occorre dunque aprirsi e superare incrostazioni culturali e retaggi del passato. Il che, naturalmente, non può voler dire che il ceto forense divenga giudice dell’operato dei magistrati.
Le Procure si stanno allontanando sempre più dalla giurisdizione per trasformarsi nell’avvocato dall’accusa. Tanti gli esempi. Recentemente il capo di un importante ufficio giudiziario, solo sulla base del dispositivo, senza neppure aspettare le motivazioni della sentenza di primo grado che non aveva accolto l’impianto accusatorio, ha dichiarato che appellerà. Non pensa sia necessario un intervento del Csm?
Il Csm non può intervenire sul merito delle scelte giurisdizionali di ciascuno dei magistrati né può, anzi non deve, limitare i poteri organizzativi che l’ordinamento affida ai capi delle Procure, tema questo risolto del legislatore nel 2006. Il Csm è chiamato, invece, a produrre, nel solco della diffusione della cultura organizzativa di cui ho prima parlato, modelli virtuosi e linee guida, come abbiamo fatto sulle intercettazioni telefoniche, e ciò costituisce la principale finalità del lavoro, da tempo in corso, relativo alla nuova circolare sulle Procure, che a settembre proveremo a definire. Riguardo al rischio che lei paventa nella sua domanda, penso sia necessaria una profonda riflessione culturale, rimanendo ancorati ai principi sanciti dall’articolo 111 della Costituzione sul giusto processo, avendo sempre bene a mente che il pm deve acquisire anche le prove a favore dell’indagato.