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pino masciari testimone giustizia
IL LAVORO RENDE LIBERI?
FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA
Nel 1986 si rinnova l’ordinamento penitenziario introducendo nuove misure volte a migliorare l’aspetto rieducativo del sistema carcerario. La legge Gozzini, che prende il nome dal suo promotore, istituisce una serie di dispositivi che permettono alle persone detenute di accedere a benefici, premi e misure alternative alla pena. Appare ovvio che non si può tralasciare quindi l’aspetto del lavoro. Tra i criteri per l’assegnazione del lavoro ai detenuti non si considerano più le attività svolte precedentemente dai soggetti e quelle che potrebbero svolgere in futuro ma diventano rilevanti ( oltre a desideri ed attitudini personali) le condizioni economiche della famiglia di provenienza in modo da avvantaggiare quelle persone ( e le famiglie) che vivono disagi sociali ed economici. Tale indicazione, nobile nelle intenzioni, ha contribuito però a rendere il lavoro in carcere una forma di assistenzialismo e welfare statale, a scapito di una progettualità concreta di vita e dell’impegno nell’apprendere un mestiere spendibile terminata la pena.
Altra novità importante della legge Gozzini è la volontà di far interagire le produzioni carcerarie con il mondo commerciale. Si permette all’amministrazione penitenziaria, previa autorizzazione del Ministro di Grazia e Giustizia, di vendere prodotti di propria produzione esternamente ad un prezzo pari o inferiore al loro costo. Si fa anche indicazione di rapportarsi ai prezzi praticati, per prodotti corrispondenti, nel mercato all’ingrosso in modo da essere competitivi e allettanti.
Indicazione questa a mio avviso, data l’esperienza personale nel settore, al quanto utopica, irrealistica e impossibile da applicare.
Quanto viene prodotto in carcere segue una lavorazione artigianale, di importante qualità ma di limitata quantità: esattamente il contrario di quanto viene proposto nel mercato all’ingrosso. E’ impossibile quindi pensare che un prodotto dell’amministrazione penitenziaria possa anche lontanamente rapportarsi in termini di prezzi ai prodotti del mercato all’ingrosso.
Se l’obbiettivo del legislatore è promuovere la vendita di prodotti del carcere andrebbe semplificata e agevolata l’operazione di vendita, eliminare l’eccessiva burocrazia per contattare chi si occupa delle vendite, riconoscere una fattura detraibile fiscalmente e magari agevolare l’acquisto attraverso detrazioni e/ o contributi. Ancora oggi per molte aziende acquistare prodotti realizzati in carcere, e ancora di più nelle colonie agricole, è impresa ardua e, se si ha successo, diventa difficile giustificare fiscalmente l’acquisto, in quanto le amministrazioni sono solite a rilasciare una ricevuta e non una fattura.