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Gli internati sono chiusi, hanno gli stessi ritmi di vita di tutti i detenuti, ma paradossalmente hanno anche meno diritti dei detenuti stessi. Dovrebbero lavorare, l’unico modo per essere valutati dai magistrati di sorveglianza ed evitare una proroga dell’internamento. Il lavoro è proprio quello che scarseggia all’interno di quelle carceri adibite a “casa lavoro”. Ogni tanto, però, arriva una buona notizia. L’eccezione che però conferma la regola: è stato siglato un protocollo d’intensa che dà lavoro agli internati del carcere di Aversa.
Nella mattinata di martedì, nella Casa di Reclusione - Filippo Saporito- con sede in Aversa, si è tenuto un incontro che ha visto come protagonisti il Garante Dei Detenuti della regione Campania, Samuele Ciambriello, la direttrice, Stella Scialpi, gli operatori dell'Area educativa del carcere medesimo nonché i rappresentanti della Caritas diocesana di Aversa. L' incontro ha suggellato l'avvio concreto del Protocollo d' Intesa per la promozione di attività di formazione e lavori di pubblica utilità a favore di internati della casa lavoro di Aversa. Tra loro, 8 saranno impegnati presso la Caritas di Aversa in lavori in un tenimento agricolo, o presso la stessa Caritas.
Altri 7 internati invece lavoreranno all’interno del carcere con l’Archivio di Stato di Napoli e con la fondazione Gianbattista Vico per lavori di catalogazione informatizzata delle cartelle cliniche dell’ex Opg di Aversa. Per tale progetto, il Garante ha donato al carcere di Aversa 2 computer e una stampante, utili allo svolgimento delle attività. Ciambriello ha poi incontrato una delegazione di 10 internati.
In Italia vi sono 335 persone in casa lavoro, suddivise in 6 strutture, tra le quali Aversa. La casa di reclusione di Aversa ospita 164 detenuti di cui 54 internati. Il progetto di attività di pubblica utilità, promosso dal garante Ciambriello, grazie al contributo della giunta regionale della Campania di Euro 20.000.00, coinvolgerà, in questa iniziativa 15 “internati”, per un periodo di 6 mesi.
«Le case lavoro messe su con un decreto del 1930 del ministro Rocco vanno superate perché non sono né case, né offrono lavoro. Nella fattispecie sono detenuti veri e propri. Sono chiusi, hanno gli stessi ritmi di vita di tutti i detenuti, non sono a custodia attenuata», spiega il garante regionale Ciambriello. E sottolinea: «Ad Aversa, tra i 54 internati, sono circa 20, le persone con sofferenza psichica e addirittura 3 con provvedimento del magistrato che devono andare in Rems ( Residenze per l’esecuzione di misura di sicurezza) e 2 con Ptri ( progetto terapeutico riabilitativo individualizzato). Non c’è la presenza di uno psichiatra. Credo che questa sia una condizione di ingiustizia che non può essere ignorata». Infine conclude: «A tale scopo ritengo che questa iniziativa propende a voler dare visibilità a questi invisibili, in un luogo che non rappresenta né una casa ( con relazioni, affettività, habitat con spazi di libertà) né una possibilità di riscatto attraverso il lavoro vero e proprio. Insomma occorre pensare a luoghi non detentivi, case che siano veramente tali e contesti di lavoro e di inclusione sociale che coinvolgano sempre di più gli enti locali. Insomma delle vere misure alternative di reinserimento sociale».
Il superamento del cosiddetto doppio binario non è mai stata nell’agenda politica, nemmeno ai tempi della mancata riforma Orlando. Le commissioni non avevano avuto il mandato del superamento. Per doppio binario si intende la pena e misura d sicurezza. La prima caratterizzata da ciò che si è commesso, la seconda da ciò che si potrebbe commettere.
Finito di scontare la pena, il detenuto può essere valutato ancora socialmente pericoloso e quindi, per evitare un potenziale crimine, rimane in carcere. Teoricamente la misura di sicurezza è lecita solo se non è una riproposizione di quella detentiva. Ma nei fatti non è così. Non aiuta nemmeno la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato legittimo addirittura l’internamento al 41 bis.