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«Il governo scelga una via legislativa più rapida per darci le risposte che chiediamo». È il messaggio dell'Anm, e ha una spiegazione chiara: le toghe non si fidano del ddl penale. O meglio non si fidano del referendum, il cui esito rischia di mandare all'aria anche la riforma della giustizia e le modifiche che il sindacato dei giudici vorrebbe vedervi inserite. Ecco perché il direttivo dell'Associazione magistrati, riunito ieri in Cassazione, approva un testo in cui si ripromette di «indire con urgenza» una nuova assemblea qualora i provvedimenti «non vengano adottati nei tempi utili».E«nei tempi utili» vuol dire entro il 31 dicembre, deadline insuperabile per la questione che più preoccupa i giudici: l'innalzamento dell'età pensionabile a 72 anni.Nonostante gruppi come Md e magistrati di peso come Armando Spataro siano schierati per la vittoria del NO al referendum, è chiaro che all'Anm converrebbe il successo del Sì. In quel caso sarebbe tutto più semplice. Il ddl sul processo passerebbe con la fiducia, come il ministro Andrea Orlando ha prefigurato giovedì in un incontro con Piercamillo Davigo, e dentro ci sarebbero le due misure invocate dalle toghe: la soglia del pensionamento a 72 anni per tutti, appunto, e il ritorno a 3 anni come periodo minimo di attesa per poter chiedere il trasferimento. Ma con l'ormai probabile sconfitta del governo al voto del 4 dicembre, ogni successivo passaggio parlamentare è a rischio. «Il ddl evidenti difficoltà politiche», come dice Luca Poniz (Area-Md) nello snodo cruciale del direttivo di ieri. «Chiediamo al ministro della Giustizia e al premier Renzi che le modifiche sollecitate dall'Associazione magistrati diventino oggetto di un apposito decreto legge, o vengano almeno inserite in un testo meno subordinato alle variabili politiche, come il milleproroghe», chiarisce il segretario Francesco Minisci (Unicost). Non si arriva così nel dettaglio, nella mozione, ma il numero due dell'Anm è molto esplicito nell'indicare la via maestra.Non c'è minaccia di sciopero, da parte del sindacato dei giudici. Ma neppure una fiducia incondizionata nella prospettiva offerta dal guardasigilli. Il quale, nella lettera ufficiale inviata alla giunta di Davigo, si espone in prima persona: su pensioni e trasferimenti, promette Orlando, provvederemo già il 7 dicembre, alla ripresa dell'esame sulla riforma da parte del Senato. Ma basta un breve giro di interventi perché il parlamentino dell'Anm comprenda come «la buonafede del guardasigilli non basti a lasciarci tranquilli».In altri tempi si sarebbe parlato di ultimatum. In realtà quella dell'Anm sembra una manovra d'emergenza avviata giusto un miglio prima che la nave della legislatura si schianti sull'iceberg. Il direttivo parte con le parole tranquillizzanti del presidente Davigo e si chiude con un documento, approvato per acclamazione, segnata da forti preoccupazioni. Il numero uno della magistratura associata, e lo stesso segretario Minisci, fanno notare a inizio lavori che «un impegno scritto preso da un ministro è un fatto inedito nella storia dei rapporti fra magistratura e governo, se guardiamo agli ultimi anni». Ma è proprio il coordinatore della corrente davighiana "Autonomia & Indipendenza", Sandro Pepe, a insinuare i primi dubbi tra i componenti del parlamentino: un attimo prima, in modo quasi distratto, Minisci aveva accennato alla «possibilità, lasciata intravedere dal ministro, di porre la fiducia sul maxiemendamento». Pepe giustamente incalza: «Su questo dobbiamo avere certezze». E nel giro di qualche minuto i rappresentanti di tutte le correnti si danno la risposta da soli: se pure il ministro ci giurasse di mettere la fiducia, la vittoria del No al referendum renderebbe il campo impraticabile.I vulnus da correggere sono quelli introdotti dal decreto Cassazione: oltre allo strappo sulle pensioni, c'è appunto l'allungamento del periodo di legittimazione, cioè del tempo minimo che un giudice deve trascorrere nella sede assegnata prima di chiedere trasferimento. Renzi e Orlando non vedono ostacoli a una correzione almeno per i magistrati di prima nomina, per i quali si tornerebbe ai 3 anni rispetto ai 4 previsti nell'ultimo provvedimento.Tutto è precario, con un referendum decisivo ormai dietro l'angolo. Anche i rapporti tra toghe e politica. Il paradosso è che l'Anm stessa capisce quanto sarebbe inutile a questo punto agitare lo spauracchio di uno sciopero: non si sa neppure a quale governo e a quale premier andrebbe recapitato l'ultimatum, dopo il 4 dicembre. Si cerca di mettere in salvo gli obiettivi prima che la nave della legislatura entri in acque inesplorate, che fanno paura perfino ai magistrati.