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La gravidanza come una malattia, nonostante la Legge di Bilancio 2018 abbia inserito due punti relativi alla tutela della maternità per le avvocate. Una tutela che a Cristina Bibolotti, del foro di Pisa, non sarebbe stata garantita. A denunciarla è la stessa avvocata del foro di Pisa, che si è vista rispondere negativamente dal Tribunale di Livorno alla richiesta, corredata da certificato medico che ne attestava il rischio, di rinvio di un’udienza a causa di una gravidanza a rischio.
«Scegliere tra la salute propria e del feto e l’esercizio cosciente della professione è quanto di più doloroso possa esserci», si legge in una nota della professionista indirizzata agli ordini degli avvocati di Pisa e Livorno e alla Camera penale di Pisa. Una donna costretta, prima, a subordinare la maternità alle condizioni professionali e reddituali e poi a scegliere tra la salute e il lavoro. Una denuncia condivisa dal presidente del Consiglio dell’ordine di Pisa, che chiedendo l’intervento del presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin ha evidenziato il dato più aberrante della vicenda: l’equiparazione della gravidanza ad un malessere. Un ostacolo culturale, sostiene, non degno di un paese civile. «Per come viene riferito dalla collega interessata ha commentato Mascherin -, appare un episodio assolutamente sconcertante e lesivo dei principi fondamentali di tutela della maternità del nascituro e del principio di eguaglianza all’interno della legislazione. Come Cnf abbiamo già chiesto all’interessata un’ulteriore, completa, analitica relazione e provvederemo ad interessare il ministero della Giustizia e il Csm».
Tutto è accaduto al Tribunale penale di Livorno, dove il 10 gennaio Bibolotti avrebbe dovuto partecipare ad un’udienza davanti la corte in composizione collegiale.
Ma all’avvocato, alla 17esima settimana di una gravidanza considerata a rischio aborto già dal terzo mese, tanto da essere finita più volte in ospedale, viene rilasciato un certificato con una prognosi di 30 giorni, nel quale viene imposto riposo e il divieto assoluto di affrontare lunghi viaggi e di evitare ogni forma di stress. L’avvocato ha quindi subito presentato un’istanza in Tribunale, chiedendo il rinvio delle udienze nelle quali non poteva essere sostituita. Così ha fatto anche per il processo calendarizzato il 10 gennaio, tramite una comunicazione consegnata sei giorni prima in cancelleria. Non era ipotizzabile infatti, secondo Bibolotti, farsi sostituire, trattandosi di un’udienza che prevedeva l’escussione di testi importanti e che, quindi, non poteva essere svolta senza la sua presenza. Ma l’istanza, denuncia il legale, è stata esaminata solo il giorno del processo e respinta in sua assenza. Tanto che all’avvocato è stato inviato, il 12 gennaio, il verbale d’udienza, nel quale il giudice, preso atto dell’opposizione del pm alla richiesta di Bibolotti, ha respinto l’istanza. La motivazione? Per il giudice tale richiesta era inammissibile in quanto veniva indicato solo genericamente il rischio corso e le precauzioni da prendere per non mettere a rischio la sua salute e quella del feto, non condividendo, inoltre, l’affermazione di non poter essere sostituita in udienza, in quando lo aveva già fatto nell’udienza precedente. Ma in quel caso, afferma indignata Bibolotti, si trattava di un’udienza di «smistamento», mentre quella “incriminata” avrebbe imposto al sostituto uno studio approfondito del fascicolo, oltre che la pretesa di far accettare al cliente l’idea di farsi difendere da un avvocato diverso da quello scelto. Una decisione presa, sostiene ancora l’avvocato, nonostante si trattasse di testi fondamentali e manifestando «palese disinteresse per la donna, per il diritto alla genitorialità e, soprattutto, per l’avvocato». Il tribunale avrebbe messo anzi in dubbio il certificato presentato dalla legale, ignorando che le prescrizioni che riguardano una donna in gravidanza - l’assoluto riposo - non possono essere sostituite da medicine. Tale atteggiamento, afferma Bibolotti, «oltre che rendere la professione ancor più incompatibile con il ruolo di madre», paleserebbe «l’assoluta indifferenza di parte della magistratura verso le legittime e documentate esigenze dell’avvocatura che, nuovamente, pare debba supinamente sottomettersi alle censurabili valutazioni del tribunale».