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misure patrimoniali codice antimafia
Elementi come l’aspetto fisico della vittima sono «irrilevanti», in quanto «eccentrici» rispetto al tipo di reato. I giudici della Cassazione bacchettano così i colleghi della Corte d’Appello d’Ancona, incappati in giudizi estetici sulla presunta vittima di uno stupro. Giudizi feroci ed inutili, al punto che, per giorni, l’assoluzione dei due imputati era passata, sui giornali, come motivata dall’aspetto fisico della donna, considerata troppo «mascolina» e «scaltra» al punto, forse, di aver organizzato tutto quanto.
Secondo il Palazzaccio, che ha annullato con rinvio la sentenza disponendo un nuovo processo davanti alla Corte d’appello di Perugia, i giudici di Ancona, nel decidere di assolvere i due imputati 24enni peruviani, condannati in primo grado a 5 e 3 anni, si sarebbero basati «sulla incondizionata accettazione del narrato degli imputati, che viene ritenuto riscontrato da elementi non decisivi», come gli sms che la vittima avrebbe scambiato con uno degli imputati subito dopo il presunto stupro e, appunto, da elementi «irrilevanti» come fattori estetici. Per i giudici d’appello, la donna avrebbe inventato «buona parte del racconto», forse «per giustificarsi agli occhi della madre», che vedendola rientrare a notte fonda, ubriaca e sporca di sangue l’aveva punita prendendola a schiaffi. «Spingendosi addirittura, secondo la opinabile ricostruzione della sentenza d’appello - scrive la Cassazione - al punto di assumere di nascosto dalla madre benzidiazepine per corroborare la sua versione di essere stata drogata la sera dei fatti».
Ma questa sarebbe una ricostruzione «meramente congetturale». Così come criticabile è stata la scelta di etichettarla come «scaltra peruviana», nell’ipotizzare che possa essere stata «proprio la persona offesa ad organizzare la serata “goliardica”, trovando una scusa con la madre, bevendo al pari degli altri, per poi provocare» uno dei due imputati, «al quale la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo “Vikingo”» e inducendolo ad avere rapporti «per una sorta di sfida» che la ragazza «non ha inteso interrompere neppure» quando ha avuto l’emorragia, in seguito alla quale, secondo la Corte d’appello, una volta a casa, avrebbe «assunto dei medicinali in modo massiccio pur di placare i dolori».
Secondo gli Ermellini, i giudici di merito non avrebbero effettuato alcun «serio raffronto critico» con la condanna emessa in primo grado. E le dichiarazioni dei due imputati sul consenso al rapporto sessuale sarebbero state valorizzate senza il necessario «supporto probatorio», nonostante «la brutalità del rapporto», in seguito al quale la donna è stata sottoposta a intervento chirurgico e trasfusione.
I fatti risalgono alla notte del 9 marzo 2013. Secondo la ricostruzione dell’accusa, i due imputati e la 24enne erano usciti per bere qualcosa dopo una lezione serale - i tre frequentavano lo stesso corso ad una scuola di Senigallia - finendo poi al parco pubblico di via Ragusa, ad Ancona. Lì la ragazza, dopo essere stata stordita con gocce di benzodiazepina nella birra, sarebbe stata violentata.
«Quando tornò a casa non era in grado di ricordare quasi nulla - aveva commentato subito dopo la sentenza l’avvocato della donna, Cinzia Molinaro - Aveva riportato gravi ferite, per le quali è stata operata e delle quali non si era neanche accorta; era in uno stato di torpore che le permetteva di ricordare solo flash: disse di non essere in grado di dire se avesse iniziato il rapporto in maniera consenziente ma che a un certo punto era stata molto male, aveva detto basta senza che il ragazzo si fermasse».