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PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
«È assolutamente necessario che si discuta ai più alti livelli e in Parlamento di quanto sta accadendo nelle carceri. Siamo a un punto critico da cui è necessario uscire con una serie di provvedimenti urgenti che non possono più essere rimandati senza mettere a rischio la dignità di chi in carcere è recluso, ma anche di chi in carcere lavora». A lanciare l’appello è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione da oltre vent’anni in prima linea nella tutela dei diritti nelle strutture detentive. Un grido d’allarme che arriva in un momento critico: i dati parlano di un sistema al limite, tra sovraffollamento record, condizioni igienico-sanitarie indegne e un’emergenza suicidi che non accenna a placarsi.
Alla fine di febbraio 2024, le persone detenute in Italia erano 62.165, a fronte di una capienza regolamentare di 51.323 posti. Ma la capacità reale, considerando le strutture inagibili, è di appena 46.836 unità. Un divario che si traduce in 15.329 detenuti senza un letto, con un tasso di affollamento del 132,7%. «Siamo di fronte a un sistema che viola quotidianamente la dignità umana», denuncia Gonnella. A peggiorare il quadro, le condizioni delle carceri: muffe, infiltrazioni, riscaldamenti assenti in inverno, temperature infernali in estate, celle senza luce naturale. In molti istituti, come Regina Coeli a Roma o la Dozza a Bologna, i detenuti trascorrono fino a 20 ore al giorno in spazi fatiscenti. Il diritto alle telefonate, fondamentale per mantenere legami familiari, è ridotto a 10 minuti settimanali in alcune strutture.
Il 2023 ha segnato un triste primato con 89 suicidi, mentre nei primi mesi del 2024 se ne contano già 16. «Questo contesto genera tensione cronica, logora detenuti e operatori e alimenta la recidiva, che in Italia è al 70%», spiega Gonnella. «Come può una persona uscire dal carcere trasformata, se vive in condizioni disumane?». Una domanda che interroga l’intera società, considerato che il 95% dei detenuti tornerà in libertà.
Le proposte
Per spezzare il circolo vizioso di degrado e sofferenza, Antigone avanza un piano che chiama in causa istituzioni, regioni e società civile. Al centro della strategia c’è l’urgenza di ridurre il numero di detenuti, un obiettivo che passa attraverso misure straordinarie come l’ampliamento delle alternative al carcere – dagli affidamenti in prova alle detenzioni domiciliari – e la revisione della legislazione sui reati minori. Un intervento non più rimandabile, già sollecitato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura, per restituire alle carceri una dimensione umana.
Parallelamente, l’associazione chiede di dare concretezza alle proposte della Commissione Ruotolo, insediata per innovare il sistema penitenziario: un nuovo regolamento che garantisca maggiore autonomia agli istituti, imponga attività riabilitative obbligatorie e riformi un sistema sanzionatorio interno che spesso alimenta conflitti invece di risolverli. Diritti fondamentali, troppo a lungo negati, devono tornare prioritari: dalle telefonate quotidiane – almeno per i detenuti a media sicurezza – all’accesso effettivo a servizi educativi. «Il carcere non può essere una sospensione della vita», ribadisce Gonnella, sottolineando come il contatto con le famiglie e la formazione siano strumenti vitali per contrastare l’emarginazione.
Altro pilastro è l’investimento in risorse umane: l’assunzione di 10.000 giovani operatori, da inserire in ruoli educativi, psicologici e di mediazione culturale, rappresenta una risposta concreta al burnout del personale esistente, schiacciato da carichi di lavoro insostenibili. Non meno cruciali sono gli investimenti territoriali: Antigone sollecita le Regioni a finanziare corsi di formazione professionale per agevolare il reinserimento lavorativo e chiede alle Asl di intensificare le ispezioni per verificare il rispetto degli standard igienico-sanitari, spesso disattesi in strutture fatiscenti. Un mosaico di interventi che punta a trasformare il carcere da luogo di pura sofferenza a spazio di giustizia riparativa, dove i diritti non siano un privilegio ma il fondamento di ogni percorso di riabilitazione.
«Il carcere non è un mondo a parte: è lo specchio della società», conclude Gonnella. Violazioni sistematiche dei diritti, come quelle denunciate, minano la credibilità di uno Stato di diritto e alimentano insicurezza. L’articolo 27 della Costituzione impone che le pene siano “rieducative”, ma oggi l’Italia è più volte condannata dalla Corte europea dei diritti umani per trattamenti inumani. La sfida è trasformare le carceri da luoghi di esclusione a spazi di giustizia riparativa. «Servono coraggio politico e risorse – conclude Gonnella –. Ma soprattutto serve comprendere che un carcere più umano è un Paese più sicuro». Un appello che, in assenza di interventi immediati, rischia di restare inascoltato, mentre le celle continuano a riempirsi di sofferenza.