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«Una giustizia troppo lenta e incerta è un debole baluardo nella prevenzione della corruzione. C’è un diritto, sopra tutti gli altri, per il quale l’Italia è stata vergognosamente condannata 1202 volte per la sua violazione ed è quello alla ragionevole durata del processo. La Cedu ci ha condannati per un numero doppio al secondo in classifica che è la Turchia, che ha avuto 608 condanne. Possiamo noi permetterci questo triste primato?». La ministra della Giustizia Marta Cartabia manda un messaggio chiaro e preciso ai detrattori della riforma. A chi, in questi giorni, rimpiange il blocco della prescrizione voluto dal suo predecessore, Alfonso Bonafede, tema che più di ogni altro ha fatto fibrillare l’esecutivo. E lo fa chiedendo la collaborazione dell’avvocatura riunita a congresso, della quale riconosce «l’importanza» nel corretto funzionamento della giustizia e anche nella sua riforma. Quello della Guardasigilli è un discorso appassionato. Un discorso con il quale difende il disegno di legge che a breve arriverà in aula e ricorda di aver messo mano ad una situazione frutto di decenni di «distrazione», un passato paragonato ad un cassetto vecchio nel quale tocca mettere ordine. «Sappiamo che fare disturba, suscita dibattito - ha evidenziato -. Ma non ci tiriamo indietro da questo ingrato compito di mettere mano alla giustizia sotto tutti gli aspetti». L’ingrato compito è anche mettere tutti d’accordo. Compito difficile, se non impossibile, ma che non può essere affrontato «con uno sguardo unilaterale». La prima parte del tentativo consiste nel toccare con mano i problemi e, quindi, visitare le carceri e le Corti d’Appello, vedere in prima persona fin dove arriva il degrado della giustizia. E partire da lì per trovare soluzioni condivisibili da tutti. «La pandemia ha inserito una frattura storica - ha spiegato la ministra -, i problemi sono atavici. Abbiamo aperto questo cassetto e abbiamo trovato problemi gravissimi sull’edilizia, grande difficoltà nell’ammodernamento e nella digitalizzazione, gravissime carenze di tutto il personale, magistrati, funzionari amministrativi, cancellieri, tecnici. Oggi si parla tantissimo della giustizia e molte voci critiche si sono liberate in tutte le direzioni. Le ascoltiamo tutte, ma perché si sono liberate adesso? Forse perché abbiamo aperto quel cassetto e abbiamo tirato fuori tutti quegli oggetti vecchi che in questo momento creano disordine, ma che ci auspichiamo possano diventare un nuovo inizio. Siamo su un crinale, verso un’eredità che abbiamo trovato faticosa, gravemente carente, gravemente inaccettabile sotto vari profili. Stiamo lavorando per il riordino, ma non si può fare dalla sera alla mattina». Cartabia ha assicurato attenzione sulla digitalizzazione e, dunque, una risoluzione di quei problemi che bloccano periodicamente il processo telematico. E lo stesso vale per le risorse umane che scontano «un depauperamento inaccettabile». La soluzione è stata rimettere in moto i concorsi e uno nuovo verrà bandito a settembre. Perché l’ufficio del processo è sì un supporto, «ma non potrà mai sostituire l’attività del giudice». Di roba da riordinare ce n’è tanta, dunque. Ma per la prima volta, ha sottolineato Cartabia, ci sono dei fondi, dopo troppi anni in cui si è pensato che la giustizia fosse un servizio a costo zero. «Non può esserlo», ha ribadito la ministra, che ha ricordato come «un Paese e una democrazia moderni non possono funzionare senza una giustizia che funziona». In Europa l’Italia è un osservato speciale ed insieme alla frammentazione burocratica, la lentezza della giustizia è un fattore che scoraggia gli investimenti. «Una giustizia che non funziona è un fattore di depressione per l'economia», ha evidenziato. Al centro del dibattito pubblico ora c’è, di certo, il processo penale. E Cartabia ha voluto ricordare la centralità della dignità, raccontando la storia di un docente dell’Università Federico II, assolto definitivamente dopo un processo per corruzione durato 20 anni. «Quel docente si era rivolto al rettore chiedendo di poter, almeno per una volta, fare lezione davanti ai suoi studenti - ha raccontato -. Cosa voleva dire quel gesto? Era il desiderio di recuperare una reputazione, una dignità. È vero che il nostro ordinamento prevede un ristoro per l’eccessiva durata del processo. Ma di fronte a questo cosa può valere il ristoro economico? Per quel professore, per le migliaia di imputati che subiscono queste lungaggini bisogna che agiamo e ci mettiamo in condizione di non arrivare a queste patologie». La riforma è stata oggetto di richiesta di un voto di fiducia, ma ciò non esclude aggiustamenti tecnici sui punti che hanno destato maggiore preoccupazione, ha assicurato. «Non smetto di ascoltare, non smetto di seguire e vagliare attentamente tutte le ragioni esposte», ha chiarito Cartabia. E lo stesso vale per il processo civile, dove i problemi di durata sono ancora più accentuati. L’obiettivo, in cinque anni, è di abbattere del 40% i tempi. «So che ci sono alcune preoccupazioni che mi sono state ribadite - ha sottolineato la ministra -. Non posso non rinnovare a ciascuno dei 240mila avvocati italiani l’invito di farsi carico con me della responsabilità di provare ad arrivare a quella meta. Non mi sottraggo alle mie responsabilità, sono dure, ma ho bisogno di ciascuno di voi e non posso farcela portando da sola un’ipotesi che deve affrontare questi problemi che derivano da decenni di disattenzione». Due sono le fondamentali preoccupazioni: una riguarda le sanzioni per le cosiddette cause temerarie, rispetto alle quali Cartabia ha parlato di «equivoco», in quanto la norma sarebbe stata introdotta per limitare la discrezionalità del giudice rispetto ad una norma «che già esisteva, ma sono pronta a toglierla». Più delicata, invece, la questione delle fasi introduttive: «Abbiamo chiesto di concentrare nella prima udienza il grosso dell’attività processuale anticipando le preclusioni per le richieste istruttorie delle parti. So che questo richiede uno sforzo enorme agli avvocati, ma anche al giudice, che dovendo arrivare a una prima udienza preparato non può semplicemente utilizzare quell’occasione per disporre quei rinvii che poi magari vanno al 2023. Perciò guardate a quella proposta anche come aspetto benefico che può avere un effetto sollecitatorio nei confronti del giudice», ha sottolineato. «Nessuno vuole comprimere e tantomeno elidere i diritti dei cittadini - ha aggiunto -. Io ho una formazione da costituzionalista e sono naturalmente incline a un’attenzione alle garanzie. Quello che vi viene proposto è non di cancellare i diritti delle parti e i diritti di difesa, ma di esercitarli in un modo diverso, in cui la prima parte del giudizio sia una parte significativa e non sia una fase dilatoria». Ma le criticità possono essere risolte e «c’è uno spazio di lavoro» che consentirà di valutare anche le proposte dell’avvocatura, ha assicurato. «Sapete di avere al ministero non soltanto qualcuno che vi ascolta - ha concluso -, ma anche qualcuno che stima e tiene in altissima considerazione l’apporto che l’avvocatura dà al buon funzionamento della giustizia, alleati comuni per quell’obiettivo comune che tutti vogliamo raggiungere». Una chiosa che conta anche il lapsus di aver confuso l’avvocatura con la magistratura, sintomo, forse, del pressing al quale le toghe hanno sottoposto la Guardasigilli nelle ultime settimane.