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IL NUOVO VERTICE
GIOVANNI MARIA JACOBAZZI
Dopo giorni di forte tensione, in cui non era del tutto esclusa la possibilità di un ritorno alle urne, i magistrati hanno dunque eletto i nuovi vertici dell’Anm. Il presidente è Giuseppe Santalucia, Salvatore Casciaro il segretario generale. Il primo esponente di Area, il cartello progressista, il secondo invece di Magistratura indipendente, il gruppo moderato delle toghe. La votazione è avvenuta con il sistema telematico.
Dopo anni di pm a capo dell’Anm, due giudici: Santalucia è alla prima sezione penale della Cassazione, Casciaro è alla sezione Lavoro della Corte d’appello di Roma.
Per superare l’impasse è stata determinante, prima del voto finale, la ventilata astensione di Unicost, la corrente di centro, sul nome di Luca Poniz, il presidente uscente che aveva deciso di ricandidarsi. Il nome del pm milanese era “indigeribile” per le toghe di “Mi” e di Movimento per la Costituzione, che avevano chiesto “discontinuità”: avevano indicato come criticabili alcuni atteggiamenti assunti da Poniz dopo lo scoppio dell’affaire Palamara, quando lo scorso anno vi erano rimasti coinvolti tre esponenti del gruppo moderato al Csm.
Senza i voti di Unicost, per le toghe di Area la strada si era fatta in salita e sarebbe diventata inevitabile una nuova fumata nera. Da qui la scelta di puntare su Santalucia e dar così vita a una giunta largamente condivisa con i rappresentanti di quattro gruppi associativi: vale a dire tutti quelli rappresentati nel “parlamentino” tranne Articolo 101. Di Unicost sono la nuova vicepresidente Alessandra Maddalena e il segretario Italo Federici. Aldo Morgigni ( Autonomia & indipendenza), ex togato del Csm, sarà il coordinatore dell’ufficio sindacale. Della nuova giunta fanno parte anche Lilli Arbore ed Elisabetta Canevini di Area, Emilia Di Palma di “A& I” e Maria Cristina Ribera di “Mi”, oltre a Cecilia Bernardo, anche lei del gruppo moderato, che dirigerò la rivista dell’Anm. A differenza della volta scorsa, il mandato sarà quadriennale, senza rotazione dei vertici fra i gruppi. Santalucia, nato 56 anni fa a Catania, è in magistratura dal 1989: è stato pm a Patti e a Messina, poi gip a Reggio Calabria. Ha trascorso anche dei periodi fuori ruolo, prima come magistrato dell’Ufficio studi del Csm e, dall’agosto 2013 al febbraio 2018, come vice capo e poi come capo dell’Ufficio legislativo di via Arenula. Nella sua prima dichiarazione ha detto di sentire “il peso della responsabilità, assumendo la presidenza in un momento difficile per la magistratura per le recenti vicende e per la pandemia in atto”. Ha ribadito la necessità del “pluralismo” e della “unità di intenti”. Il programma che intende seguire, ha spiegato, è quello messo a punto due settimane fa nel tavolo tecnico costituito appositamente. “Non è un programma al ribasso - ha ricordato - ma di mediazione. Termine che non ha un’accezione negativa: mediazione e compromesso sono ciò che consente di camminare insieme”.
Forti critiche sulla nuova giunta e sul nuovo presidente da parte, invece, delle toghe di Articolo 101, il gruppo nato per essere “contro le correnti” e che ha eletto quattro rappresentanti al comitato direttivo centrale. “Tanto tuonò che piovve – ha affermato Andrea Mirenda, giudice a Verona e tra i fondatori della nuova compagine – la restaurazione si è completata: dopo due mesi trascorsi a cercare disperati equilibri spartitori, a suggello della pax correntizia giunge a capo del sindacato delle toghe un magistrato già capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia ai tempi del ministro Andrea Orlando”.
Il primo atto della rinnovata giunta, dal punto di vista della comunicazione, è stato ieri pomeriggio un comunicato sulla decisione del Tribunale di Francoforte di respingere il ricorso volto ad inibire l’uso del nome “Falcone& Borsellino” nell’insegna di un ristorante, ritenendo che la tutela della reputazione di Giovanni Falcone “a causa del passare del tempo e dello sbiadimento della memoria del defunto (...) non può più essere garantita”, dovendosi “anche tener conto del fatto che l’opera di Giovanni Falcone si svolse principalmente in Italia”. Ebbene, per l’Anm si tratta di “affermazioni che disorientano e offendono la memoria di Giovanni Falcone, svilendo il senso esemplare di un impegno impareggiabile per l’affer-mazione dei valori fondamentali di ogni società democratica. Falcone e Borsellino”, ricorda la nota dell’Anm, “sono un capitolo della storia comune del nostro tempo, che oltrepassa i confini nazionali e che non tollera considerazioni, specie di organi giudiziari, non sostenute da questa necessaria consapevolezza: la memoria è dovere civico e impegno culturale di tutte le Istituzioni dell’Unione”, fa notare l’associazione magistrati, “per l’affermazione, senza cedimenti, dei valori comuni in cui crediamo”.