Primo: non semplificare. «Scordatevi la mafia stragista degli anni Novanta, o peggio una riedizione del Padrino. Preoccupatevi di capire se il notaio a cui vi siete rivolti non sia uno degli anelli di una nuova catena». Andrea Orlando presenta i risultati degli “Stati generali della lotta alle mafie” con un invito di fondo: uscite dai vecchi schemi. A poco più di due mesi dall’evento di apertura dei lavori, il guardasigilli mette sul tavolo una “Carta di Milano” con dieci tesi sul contrasto alle cosche. «Abbiamo coinvolto 220 esperti, rappresentanti della magistratura, dell’avvocatura e del giornalismo». Di fianco al ministro della Giustizia, alla sala convegni della Galleria Colonna, c’è la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi. La quale è costretta dalle circostanze a ripetere una mezza dozzina di volte che «a Parlamento sciolto la Bicamerale non ha poteri d’inchiesta, ecco perché non abbiamo potuto verificare gli impresentabili nelle liste». Bindi ha un approccio meno imprevedibile, chiede ai partiti di «cercare il consenso buono». Difende a spada tratta i «rigori del 41 bis» contro i quali «sì, ci sono le bandiere della commissione Diritti umani del Senato, ma tutti i cittadini sono d’accordo sul fatto che i delinquenti debbano essere trattati da delinquenti». Frase un po’ ambigua che sembra quasi legittimare la violazione dello stato di diritto spesso consumata nelle carceri. Uno sfregio a chi si batte per riportare le istituzioni nella legalità, a cominciare proprio da quel Luigi Manconi che ha presieduto, in questa legislatura, la commissione quasi derisa da Bindi.

ORLANDO: «MAFIA COME ASCENSORE SOCIALE»

Assai meno ossequiose della tradizionale liturgia antimafiosa sono invece le conclusioni che trae Orlando, dopo l’esposizione del professor Gaetano Silvestri, che ha coordinato il Comitato scientifico degli Stati generali: «Ci siamo concentrati su tre punti chiave: i varchi possibili di infiltrazione delle mafie, la loro nuova dimensione globale e i nessi con la sempre più scarsa mobilità sociale», dice il ministro. Che non teme di sfidare i profeti della cultura della legalità e ricorda come «in molte realtà del Paese le organizzazioni criminali siano l’unico ascensore sociale rimasto». Questo, aggiunge il guardasigilli, «chiama in causa, più che l’aspetto repressivo, la capacità di fare sviluppo, di utilizzare al meglio le risorse pubbliche». È un attacco da sinistra, ma non dalla sponda più moralistica della sinistra, anzi: «Spesso le mafie sosti- i corpi intermedi che con il tempo si sono indeboliti. Cos’è la camorra, in certe periferie del Napoletano, se non il surrogato perverso di uno Stato sociale che non esiste più?». Ancora: «Cosa sono alcuni apparati criminali dei corpi intermedi se non il residuo di un sistema della rappresentanza che non ha più strumenti?». Messo così, l’esito degli Stati generali non pare evocare affinamenti legislativi capaci di qualificare Buzzi e Carminati come mafiosi: «Più che di mafia, dovremmo sentirci chiamati a parlare di Stato sociale, di come si ricostruiscono i corpi intermedi e di chi, con fatica, cerca di farli sopravvivere» .

BINDI: «GLI ORDINI?  SEMBRANO LOGGE...»

Bindi è chiamata a intervenire per la sinergia che gli Stati generali hanno stabilito con la sua commissione, ma è evidente che si trova su una barricata quasi opposta a quella di Orlando. Arriva persino a lantuiscono ciare fendenti contro «gli Ordini professionali: sarebbero concepiti per attuare l’ordinamento della professione nell’interesse e a protezione dei cittadini: spesso invece si riducono a corporazioni, addirittura a corpi separati che paiono logge massoniche, e nei confronti dell’ordinamento generale si comportano appunto da ordinamento separato». Un assist perfetto ai giornalisti emiliani che hanno risposto col linciaggio mediatico all’ipotesi di un “Osservatorio sull’informazione giudiziaria” avanzata dall’avvocatura di Reggio Emilia.

Lo stesso Orlando non risparmia per la verità attacchi ai partiti che «con prassi come le clientele e il nepotismo evocano a volte le organizzazioni criminali: meglio qualche manifestazione in meno e qualche esame di coscienza in più sul proprio grado di mafiosità». Ma meglio anche, a proposito di giornalisti, «pubblicare qualche intercettazione in meno e qualche inchiesta in più sui nuovi tratti della mafia, strettamente connessi al tema della sostenibilità ambientale». Lo slogan dei lavori guidati da Silvestri potrebbe essere «la mafia non ha vinto ma non si può dire che abbia poerso», secondo il guardasigilli. «Ma se vogliamo rendere durature le vittorie», aggiunge, «serve unità: la legislatura è iniziata con la divisione manichea tra gli antimafiosi che si riconoscevano in quanto decisi a punire un certo reato con 8 anni di carcere e i presunti fiancheggiatori che si fermavano a 5 anni: roba superarata. Ora tocca alle forze politiche evitare di usare la mafia in modo propagandistico» .