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Maria Masi
Della giustizia civile si parla meno. E lo si fa più che altro per postulati assoluti, del tipo: “Il processo deve essere veloce o gli investitori fuggono”. Vero, per carità, tanto che lo ha ripetuto anche la guardasigilli Marta Cartabia nel proprio intervento di lunedì alla Camera. In genere si sottovaluta il peso sociale di una riforma che tocchi l’ambito civile, meno glamour e pirotecnico rispetto al consueto ring del penale, ma altrettanto irrinunciabile in uno Stato di diritto. Cartabia, che è stata presidente della Consulta non per caso, lo sa. E nell’esporre il programma alla commissione Giustizia di Montecitorio ha dato precedenza proprio al ddl ereditato da Alfonso Bonafede sul processo civile. È la riforma che più si intreccia col Recovery e che più implica quella «componente valoriale», quegli «ideali intrinseci alla giustizia» di «tutela effettiva per tutti» evocati dalla ministra. Ebbene, è notevole e assai interessante la convergenza fra la prospettiva disegnata due giorni fa da Cartabia e la “Proposta per una giustizia al servizio della persona” avanzata al governo dal Consiglio nazionale forense. A fine 2020 la massima istituzione dell’avvocatura aveva trasmesso sia a Bonafede che a Conte il proprio contributo sul Recovery. Un piano dettagliato, in oltre 100 pagine, focalizzato ovviamente sulle misure relative alla giustizia con cui valorizzare le risorse europee. Nell’ultimo “Piano di ripresa” del governo Conte c’era solo l’eco di uno degli architravi indicati dal Cnf: il potenziamento delle soluzioni alternative delle controversie. Con la ministra Cartabia è emersa una convergenza su tutte e tre le direttrici chiave della “Proposta” forense: valorizzare il «grande potenziale» delle “Adr”, appunto, la priorità degli aspetti organizzativi rispetto alle modifiche della procedura e la formazione degli operatori di giustizia. Via Arenula e istituzione dell’avvocatura sembrano distinguersi appena sulla strada da seguire per lo smaltimento dell’arretrato: la guardasigilli confida nell’ufficio del processo, il Cnf ritiene più efficace ricorrere alle camere arbitrali, con opportuni incentivi e col coinvolgimento degli Ordini forensi. Ma è comune la cultura che ha portato Cartabia a definire le forme di risoluzione delle controversie «tutt’altro che alternative». Rivestono, per la ministra, «un ruolo che è piuttosto di complementarità rispetto alla giurisdizione, di coesistenza». Un’idea in piena sintonia con la visione degli avvocati. Cartabia ricorda come le “Adr” producano «effetti virtuosi di alleggerimento nell’amministrazione della giustizia». Nella Proposta per il Recovery, il Cnf afferma esattamente quel principio: demandare alla mediazione, ad esempio, la causa altrimenti pendente davanti al Tribunale serve proprio a rendere più efficiente la giurisdizione ordinaria, in modo che risponda alla «domanda di giustizia» di ogni singola «persona». E ancora: l’istituzione forense tiene a ricordare come il contesto delle soluzioni stragiudiziali sdrammatizzi il conflitto. La guardasigilli conferma che «strumenti come la mediazione», se «ben calibrati», possono tracciare percorsi di giustizia capaci di tenere in conto «le relazioni sociali coinvolte: risanano lacerazioni e stemperano le tensioni». Uno spirito comune, che trova un riscontro anche nel profilo dei collaboratori voluti da Cartabia al ministero. Basti pensare a Filippo Danovi, avvocato e ordinario di Procedura civile alla Bicocca, che la ministra ha scelto per l’ufficio legislativo e che è noto per l’attenzione all’ambito familiaristico, dove la mediazione ha dato ottimi frutti. Danovi farà parte anche del gruppo di lavoro istituito dalla guardasigilli per emendare la riforma del processo civile. E a presiedere la “commissione agile” appena formata sarà un altro avvocato, Francesco Paolo Luiso, del Foro di Lucca. Priorità all’organizzazione, per il Cnf, vuol dire anche introdurre nei tribunali «figure manageriali» non necessariamente togate. Ne ha parlato anche Cartabia. La quale è convinta, come l’istituzione forense, che «buone pratiche» e «capacità gestionale» vengano prima delle modifiche alla procedura, quanto meno nella giustizia civile. È vero che ieri al Senato si è andati avanti sul ddl Bonafede, orientato a superare il «rito sommario di cognizione» che invece l’attuale guardasigilli non vorrebbe sopprimere. Ma la stessa vicepresidente M5S della commissione Giustizia di Palazzo Madama, Elvira Evangelista, ritiene che la riforma debba «andare di pari passo» col Recovery, giacché «i tempi del processo attengono innanzitutto a ragioni organizzative e strutturali». Principio dunque condiviso da tutti. Che riporta in primo piano la Proposta dal Cnf.