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I casi di malagiustizia nel nostro Paese non sono certamente pochi, visto e considerato il numero rilevante di errori giudiziari. Così come c’è solo una estrema minoranza di giornalisti, intellettuali e politici che hanno il coraggio di denunciare le storture della Giustizia, il disequilibro tra i Poteri dello Stato. La legge, poi, non solo non è uguale per tutti, ma può essere utilizzata per colpire gente per bene. Per capire tutto ciò può essere utile leggere Il libro “ La chiamano giustizia, ma è ciò che il giudice ha mangiato a colazione” edito da Pacini Editore e scritto da Morena Gallo, una giovane giornalista calabrese di cronaca giudiziaria. Una che, appunto, conosce molto bene la materia e non si limita alle solite veline della questura o della procura, ma sa leggere le carte, assiste ai processi. Il libro è efficace perché per spiegare il problema generale della giustizia malata, sviscera un caso concreto, scomodo, che ne costituisce una riprova emblematica.
Centoquarantadue pagine in cui si racconta, documenti alla mano e con interviste nei confronti dei familiari e operatori del diritto, la storia giudiziaria e umana di Giuseppe Caterini, all’epoca sindaco del comune calabrese di Laino Borgo. «Una persona decisa, determinata e poco incline al compromesso», si legge in un passaggio del libro. Geometra di professione, ma soprattutto poeta. Non a caso, ogni capitolo del libro è alternato da alcuni versi delle sue poesie. Colpisce quella dedicata all’anarchico Valpreda. È del 1971, quindi scritta in piena campagna giudiziaria e mediatica contro l’anarchico ballerino accusato ingiustamente di essere stato l’esecutore della strage di Piazza Fontana. L’autrice sottolinea nel libro che dai versi si «intuisce che alcune volte ci possono essere “altre” ragioni che esigono un arresto, una condanna, a prescindere dal diritto, dalla gravità degli indizi o dalle prove». Il pensiero va proprio alla vicenda di Caterini. Era il luglio del 2009 quando i carabinieri di Castrovillari bussarono alla sua porta. L’accusa è di concussione. Cosa accadde? Secondo ciò che scrisse la cronaca locale, il titolare della ditta che si era aggiudicata l’appalto per l’illuminazione pubblica lo aveva denunciato perché avrebbe ricevuto numerose pressioni per revocare il subappalto ad una impresa per poi concederla a un’altra da lui indicata. Per quella lunga indagine iniziata nel 2008, dopo un anno dalla sua elezione, Caterini fu arrestato e costretto ai domiciliari. Dopo lunghi sette anni arriva la condanna in primo grado.
Ma la giornalista Morena Gallo ha fatto una ricostruzione degli eventi e racconta una storia diversa arrivando a una conclusione scioccante: di fatto, gli è stato contestato di avere impedito la perpetuazione di un reato consumato dai suoi accusatori. «Leggendo la sentenza– scrive Morena nel libro non si capisce per nulla se la difesa di Giuseppe abbia portato testi. Se quanti, quali e cosa questi abbiano detto. Non ce n’è traccia. Così come non esiste riferimento compiuto al subappalto non autorizzato dal Comune, ossia alla circostanza che il fatto contestato al sindaco coincideva con un suo dovere, ovvero con l’interruzione di un reato che stavano perpetuando i suoi accusatori». Si viene a scoprire che l’accusatore è un imprenditore che gli era amico, ma che poi – solo per il fatto che lui lo sostenne come sindaco – cominciò a pretendere favori. Ma Caterini era un sindaco preciso, oculato, inflessibile. Morena Gallo ricostruisce la vicenda in maniera semplice e avvincente. Non annoia, entra nell’animo del personaggio, dei dolori per la perdita dei cari, delle amarezze e delusioni di chi è finito stritolato nel meccanismo perverso della giustizia. Nel libro vengono svelati anche degli interessi economici e probabili “angeli con il cappello” che muovevano le fila. Giuseppe Caterini muore nel 2016. Non ha potuto fare in tempo per celebrare il processo d’appello.
Parafrasando il titolo del romanzo breve di Leonardo Sciascia, parliamo di una “storia semplice”. Ma che, appunto, semplice non è.