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I magistrati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo
Lunedì 29 aprile la proposta del deputato di Italia viva Roberto Giachetti sulla liberazione anticipata speciale, elaborata insieme alla presidente di Nessuno Tocchi Caino, Rita Barnardini sbarcherà in Aula alla Camera. Oggi ci sarà l’ultima audizione, quella del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, e domani scadrà il termine per gli emendamenti. Ma intanto ieri l’Antimafia si è spaccata sulla proposta, come rilevano le audizioni del procuratore nazionale della Dna Giovanni Melillo e del procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita. Il primo, anche se non esplicitamente, ha fatto capire che sarebbe favorevole alla misura, escludendo però dai benefici i detenuti per delitti di mafia e terrorismo. Mentre il secondo la ritiene una forma di indulto, arrivando addirittura a dire che sarebbe «un messaggio ai detenuti», affermazione che lo ha condotto ad un botta e risposta con l’onorevole Giachetti.
Ma vediamo nel dettaglio le posizioni. «L’emergenza sovraffollamento è sotto gli occhi di tutti, non sorprende che il Parlamento voglia assumersi la responsabilità tutta politica di aumentare in via ordinaria la durata della riduzione di pena prevista nel caso di partecipazione attiva del detenuto all’opera di rieducazione», ha esordito Giovanni Melillo.
Tuttavia, ha proseguito il magistrato, «se il presupposto del provvedimento è la grave condizione di sovraffollamento del sistema carcerario occorre che nelle valutazioni del Parlamento siano considerati obblighi di coerenza sistematica. L’aumento dell’entità ordinaria del beneficio da 45 a 60 giorni non ha alcuna ragione di riguardare i detenuti per delitti di criminalità organizzata e terrorismo: nel circuito dell’alta sicurezza non vi è alcun problema di sovraffollamento né di compressione per altra via della dignità del detenuto». Tanto è vero che dopo la Torreggiani la nuova norma «escluse i delitti di criminalità organizzata e di terrorismo dall’ambito delle misure adottate all’epoca per rafforzare l’effetto premiale della liberazione anticipata. Ed è una esclusione che la Cassazione ha considerato assolutamente coerente con i principi costituzionali».
L’altro obbligo di coerenza di sistema Melillo lo pone sotto forma di domanda: «Che senso ha aumentare la riduzione di pena per chi la espia ai domiciliari o in forme alternative al carcere? In questi casi chi è l’organo di controllo della sussistenza del presupposto del beneficio?». Infine il procuratore nazionale ha auspicato che la proposta di legge «possa essere l’occasione per snellire meccanismi procedurali che al momento ne ostacolano l’applicazione», seguendo ad esempio il modello francese, per il quale quando c’è l’ingresso in carcere, il detenuto condannato è informato del meccanismo premiale della “riduzione della pena” e delle possibilità della sua negazione. Molto più tranchant il parere di Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania, ex membro del Csm, chiamato dal M5S in audizione: «La liberazione anticipata speciale verrebbe applicata fin dal 1° gennaio del 2016, e questo comporta che chi è stato sei anni in carcere avrebbe un anno di abbuono, quindi questo provvedimento è un indulto, neppure mascherato, che si applica a chi ha una lunga permanenza in carcere: più lunga è la permanenza, maggiormente rilevante è l’applicazione della norma».
Il magistrato ha stimato che «in un anno e nove mesi uscirebbero dal carcere 23mila detenuti che hanno pene fino a tre anni, la maggior parte di loro subito, per effetto dell’indulto di cui ho parlato prima, gli altri scaglionati». A beneficiarne maggiormente sarebbero «persone condannate per associazione mafiosa e per gravi reati contro la persona, come quelli da fasce deboli e da codice rosso». L’onorevole Giachetti ha poi polemizzato con il pm: «Ardita ha detto letteralmente “che questa proposta di legge serve a lanciare messaggi ai detenuti”. Le vorrei chiedere che tipo di messaggi».
Ardita ha risposto non senza difficoltà: «Ovviamente non mi riferivo a messaggi mafiosi. Diciamo che la popolazione detenuta è molto attenta a quello che accade nel mondo pubblico e quindi un’iniziativa del genere significa lanciare un messaggio di difesa di quelle che sono le ragioni corporative». «Magari in vista delle elezioni, lei pensa?», lo ha incalzato Giachetti. «No, a me queste derive non piacciono. Mi scuso se ho dato l’impressione di aver utilizzato un termine che avesse un significato diverso. Purtroppo i messaggi mafiosi nella storia del mondo pubblico sono stati lanciati nel passato. Non è che bisogna stracciarsi le vesti. In questo caso non l’ho detto perché non ho gli elementi per dirlo. Tuttavia la storia dei rapporti tra il mondo pubblico e quello dei detenuti è fatta anche di messaggi di questo genere, di rassicurazione, quindi non sono cose campate per aria. Volevo dire che se si lavora per migliorare le condizioni dei detenuti occorrerebbe guardare a quelle che sono le condizioni di fondo della vita di tutti i detenuti, perché queste norme finiscono per avvantaggiare i potenti che stanno in carcere». Giachetti: «Questo lo dice lei». E Ardita: «Me ne assumo la responsabilità».
A favore della proposta il professor Glauco Giostra: «In questa situazione la proposta dell’onorevole Giachetti, come rimedio tampone, appare quella più convincente anche se non risolutiva. Riesce a coniugare l’idea di un de- affollamento, di un de-congestionamento con quella di mantenere la pena con la funzione che la Costituzione le assegna. È tra le pochissime proposte serie in circolazione, sarebbe bene rimuovere quindi le criticità sotto il profilo tecnico in modo da non pregiudicarne la funzionalità» .