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Nella giornata europea della giustizia, il Consiglio nazionale forense ha puntato i riflettori sulle possibilità di accesso alla giustizia dei detenuti e sul patrocinio a spese dello Stato, argomento oggetto di un tavolo ministeriale, fortemente voluto dal Cnf, con le componenti associative specialistiche dell’avvocatura e il Congresso nazionale forense. Un tavolo che ha portato ad un progetto di riforma, trasfuso in buona parte in un disegno di legge di iniziativa ministeriale, in Parlamento proprio in questi giorni.
A presentare la proposta, nel corso dell’evento che si è tenuto nella sede del Cnf, è stata la consigliera Giovanna Ollà. «Ci sono delle novità importanti per quanto riguarda l’estensione del gratuito patrocinio anche alle procedure di negoziazione assistita - ha sottolineato -. È stato esteso il novero dei soggetti vulnerabili che hanno diritto al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dai limiti di reddito. Si tratta delle persone offese nei reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare, quando sono minori di età e soggetti inabili al lavoro, e le persone offese dal reato di tortura, di recente introduzione normativa». Tra le altre indicazioni importanti, il tentativo di dare una misura alle soglie minime di liquidazione, al di sotto delle quali nemmeno il giudice può scendere. «È molto importante - ha sottolineato Ollà -, perché si spera si arrivi ad arginare liquidazioni totalmente indecorose. Ci sono principi di velocizzazione nelle richieste di liquidazione e nell’emissione dei provvedimenti, con delle tempistiche stabilite che vincolano il magistrato, e la possibilità di inoltrare le domande di patrocinio via pec, sempre nell’ottica di semplificazione. È importante che si sia arrivati ad un primo approccio di revisione organica».
Ma la riforma avrà anche il merito di sottolineare il ruolo del difensore nel patrocinio a spese dello Stato. «La direttiva europea fa riferimento anche alla necessità di garantire una formazione adeguata dei difensori che difendono con patrocinio a spese dello Stato», ha aggiunto. Nel sistema di tutela dei diritti, la proposta è fondamentale per l’affermazione di un principio: la necessità di garantire l’accesso alla giustizia alle persone che sono più deboli economicamente «e ai deboli per eccellenza, le persone detenute e private della libertà personale. Uno Stato che voglia dirsi di diritto e civile - ha concluso - non può dimenticarsi di chi ha meno possibilità economiche».
Nel corso del dibattito è stata presentata la ricerca “Eupretrialrights”, con i risultati del Libro Bianco “Bringing justice into prison”. Una ricerca, ha spiegato Daniela Ranalli, del “Prison litigation network” e già giurista presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha evidenziato la difficoltà effettiva del detenuto ad accedere effettivamente alla giustizia a causa di risorse culturali ed economiche scarse. «La Cedu - ha evidenziato - è diventata il referente a livello sovranazionale per la tutela dei diritti dei detenuti, a partire dal divieto di tortura e trattamenti inumani. Nell’ultimo decennio il contenzioso penitenziario ha rappresentato circa il 25% dei ricorsi alla Cedu. E in questa mole di lavoro la Corte ha elaborato una giurisprudenza: i detenuti devono disporre di un sistema di rimedi interni che consenta di lamentarsi delle violazioni e imponga una cessazione delle stesse e una riparazione effettiva». Ma dalla ricerca è emerso un paradosso: pur riconoscendo un corredo sempre più ampio di diritti ai detenuti e strumenti procedurali sempre più importanti, la Cedu inquadra il detenuto con una certa artificialità, concentrandosi molto poco sulla necessità di una difesa tecnica.
Ad illustrare le iniziative messe in campo dal ministero della Giustizia a tutela dei diritti delle persone detenute è stata Emma Rizzato, magistrato distaccato a via Arenula presso l’Ufficio del capo di gabinetto. «Il ministero ha a cuore l’accesso alla giustizia e la vulnerabilità sociale - ha sottolineato -. E sono state messe in campo iniziative di tipo organizzativo e trattamentale a favore dei detenuti». Rizzato ha fatto riferimento ai decreti legislativi del 2018 finalizzati all’innalzamento degli standard di vita carceraria, nonché l’istituzione di due nuovi Icam per le mamme detenute con figli a seguito, azioni per permettere il riconoscimento della prossimità territoriale, nonché la «possibilità di video colloqui con familiari attraverso Skype».
Ma a passare dalla teoria alla vita di tutti i giorni in carcere ci ha pensate Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. «Se penso al progetto di lavoro “Mi riscatto”, dove i detenuti fanno lavori che dovrebbe fare il Comune con gente in mitra a sorvergliarli, io lo chiamerei “Mi vergogno”. Questa non è dignità - ha sottolineato -. E non solo: i colloqui su Skype non esistono, la prossimità territoriale viene negata e tutta una serie di cose che enunciamo in parte sono sulla carta, in parte anche negative». Palma ha dunque invitato tutti a prestare attenzione. «Si sono troppo assuefatti gli occhi di chi lavora nel carcere e quelli dei medici che non vedono più i lividi - ha sottolineato -. Il buon garante, se vuole davvero dare un contributo, deve tenere gli occhi ben aperti». Uno sguardo, ha concluso Ollà, che anche gli avvocati devono avere.