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La sua è una di quelle storie che raccontano la babele del nostro ordinamento giudiziario, che l’ha costretto a vivere due vite professionali: la prima - iniziata nel 1968 a soli 23 anni, come magistrato - termina nel 1993 dopo 26 anni in toga, a causa di un procedimento penale dal quale viene assolto nel 1998 con formula piena. La seconda, che dura fino ad oggi, sul fronte opposto della difesa, da avvocato del foro di Salerno. E adesso Feleppa inizia la terza: «Ho fatto richiesta di essere riammesso in servizio come magistrato - racconta e ciò comporterà la mia cancellazione dall’albo degli avvocati», ma senza alcuna intenzione di concludere con la toga del giudice la sua carriera professionale. «Non so per quanto vi rimarrò, ma so per certo che poi rientrerò a fare l’avvocato», sorride.
Ricostruendo la sua complessa vicenda giudiziaria, ad arrestare la sua carriera da magistrato nel 1993 fu un’inchiesta per abuso di potere, in merito a presunti ritardi nell’ambito di un’inchiesta in materia di abusi edilizi. Feleppa, all’epoca quarantanovenne sostituto procuratore presso la pretura di Salerno, subì un procedimento penale «che si concluse nel 1998 con un’assoluzione in formula piena per non aver commesso il fatto». Lasciatosi decadere dal ruolo di magistrato, dovette reinventarsi a livello professionale, iscrivendosi all’albo degli avvocati di Salerno nel 1994. Oggi, per descrive la sua vicenda, cita Dante: «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘ l salir per l’altrui scale».
Eppure, «non ho rimpianti: anzi è stato salutare essere avvocato. Le dirò di più: fare l’avvocato è molto più difficile che fare il giudice, perchè proporre è più complesso che imporre. L’avvocato deve avere un contatto diretto con le persone e questo aggiunge complessità rispetto alla decisione su elementi di prova acquisiti», racconta Feleppa, che dalla parte della difesa si occupa soprattutto di penale, in materia di reati contro la pubblica amministrazione, ma spazia anche nel civile e nell’amministrativo.
La possibilità concreta di rientrare in magistratura arriva grazie a una legge del 2004, la cosiddetta legge Carnevale ( dal nome del giudice Corrado Carnevale, che ne beneficiò), che prevede il reintegro in onore e carriera a tutti i pubblici dipendenti, magistrati compresi, usciti assolti da procedimenti penali, recuperando gli anni di carriera persi. «La legittimazione valeva per i magistrati assolti entro i 5 anni dall’entrata in vigore della legge e io sono rientrato per pochi mesi», ha spiegato l’avvocato. Nel 2005, però, il Csm rigetta con delibera l’istanza di riammissione in servizio e ricostruzione della carriera, giustificando la decisione con il fatto che la domanda non era fondata perchè Feleppa non era mai stato sospeso dal servizio nè aveva fatto richiesta di collocamento anticipato in pensione, ma aveva «fatto ricorso all’istituto della decadenza». Feleppa ha dunque proposto ricorso al Tar Lazio, «per veder riconosciuto il principio di diritto che la decadenza è equiparabile al collocamento a riposto» e dunque ottenere il diritto a rientrare in magistratura. «Tra primo e secondo grado di giudizio, sono serviti 11 anni di braccio di ferro con il Csm, che ha appellato la sentenza del Tar». Tar che aveva accolto il ricorso di Feleppa, affermando che la legge Carnevale si applica anche ai casi di dipendenza.
A dargli il definitivo diritto al reintegro, alla fine, è stata una sentenza del Consiglio di Stato del 26 luglio 2017, che ha confermato la sentenza del Tar Lazio. Ben 24 anni dopo l’ultima udienza da pretore, «ho messo in esecuzione la sentenza di primo grado: ora aspetto di essere convocato», ha concluso Feleppa, che spera a breve di riporre la toga di avvocato per tornare ad indossare quella da giudice, «visto e considerato che finalmente mi è stato restituito il mio onore di magistrato».
Dunque, i ranghi della magistratura presto conteranno un togato in più, mentre l’avvocatura perderà un iscritto. Il paradosso riguarda gli effetti della legge che ha permesso il reintegro: Feleppa, infatti, potrà rientrare in servizio in deroga ad ogni limite massimo di età pensionabile, come del resto fece il giudice Carnevale, che andò in pensione a 85 anni.