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«È sufficiente, per un candidato, ricercare su "Google" il nominativo di un soggetto da incontrare per capire se lo stesso sia indagato». Ai tempi del web i motori di ricerca bastano per sancire la mafiosità di una persona. Una certezza, quella del senatore grillino Mario Giarrusso, che basta per certificare la totale consapevolezza del senatore Marco Siclari di avere a che fare con un uomo dei clan. Giarrusso ha pronunciato queste parole davanti ai colleghi della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, chiamati a decidere sulla richiesta di autorizzazione all’arresto del senatore forzista - coinvolto in un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria - che ora ha 20 giorni di tempo per difendersi. L’ipotesi dell’accusa è che il politico abbia stretto un patto mafioso con rappresentanti del potente clan Alvaro, che avrebbero racimolato un gran numero di voti per la sua elezione in cambio di favori all’occorrenza. Secondo il gip, non si riscontrano segni idonei a smentire che il senatore possa «continuare a piegare, anche in ragione dei tempi recenti di stipula del patto (anno 2018), la sua carica di importantissimo uomo politico e di Senatore della Repubblica per mettersi ancora a disposizione della 'ndrangheta». Ma per il senatore Lucio Malan (Fibp-Udc), dall'esame del fascicolo trasmesso dall'autorità giudiziaria «non emerge alcuna evidenza e alcun indizio circa la promessa del senatore Siclari al Laurendi (Domenico, uomo di fiducia del clan Alvaro, ndr)». E durante l’incontro tra il senatore, il medico Domenico Galletta (considerato l’intermediario) e Laurendi, quest’ultimo «avrebbe disattivato il captatore inserito nel suo cellulare», rendendo impossibile stabilire «quali siano gli elementi trattati nel predetto incontro». Per Giarrusso, però, la disattivazione del captatore da parte di Laurendi «costituisce un elemento sintomatico della pericolosità di tale soggetto sul piano criminale». Ma non solo: «gli incontri tra il senatore Siclari e il Laurendi sono avvenuti in forme sospette». E tanto basta.